Trump declassifica i file di Jfk, Rfk e Martin Luther King ABSTRACT ET
Trump declassifica i file di Jfk, Rfk e Martin Luther King
di Davide Malacaria
Trump sfrutta il momento favorevole per fare pulizia e riaprire le relazioni con Corea del Nord, Russia e Cina
La decisione di Trump di declassificare i documenti sugli omicidi di JfK, del fratello Robert e di Martin Luther King non discende solo dalla volontà di mantenere le promesse elettorali, ma da altro e ben più importante
Pulizia interna e nuove nomine
Il momento rivoluzionario al quale ha dato vita con la sua vittoria, infatti, potrebbe essere di breve durata, dal momento che i suoi antagonisti, interni e globali (i circoli neocon e liberal iper-atlantisti) cercheranno in tutti i modi di eliminarlo, l’unico modo che hanno al momento per fermare il processo innescato.
Nel corso del suo primo mandato, infatti, tali circoli avevano infiltrato in maniera profonda la sua amministrazione, cosa che Trump aveva accettato nella presunzione di poter gestire e frenare le spinte dei fautori delle guerre infinite, ma così non è stato e la sua presidenza ne è uscita profondamente condizionata.
Decisivi, in tal senso, l’allora Consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton e l’ex Segretario di Stato Mike Pompeo, anche se in realtà erano solo figure apicali di un apparato di condizionamento ben più ampio al quale hanno ceduto, prima o poi, tutte le persone che aveva chiamato nel suo team.
È per questo che la decisione di togliere le misure sicurezza a Bolton e Pompeo ha un alto significato simbolico: non una vendetta postuma, ma una mossa politica di alto profilo (peraltro, va notato che il giorno in cui ha tolto la scorta a Pompeo ha dichiarato di voler contattare Kim Jong-un, mossa che sottende il rilancio del processo distensivo con la Corea del Nord, intrapreso nel suo primo mandato e affondato proprio dall’ex capo della Cia).
Anche la mossa di nominare Pete Hegsteh a Capo del Pentagono corrisponde a tale logica. Come per gli altri componenti della squadra di Trump, anche lui doveva passare al vaglio del Congresso, chiamato a ratificare o respingere le nomine del presidente.
Chi ha guardato in questi giorni i media americani, anzitutto il New York Times e il Washington Post avrà notato come tali media, consegnati ai vecchi padroni, abbiano pubblicato quasi ogni giorno articoli contro due nomine di Trump considerate del tutto inaccettabili: Hegsteh, appunto, e Tulsi Gabbard, che Trump ha scelto come capo dei servizi segreti.
Citiamo, solo a mo’ di esempio, l’articolo del Washington post dal titolo: “La squadra di Trump che distrugge la sicurezza nazionale”. Sottotitolo: “Se confermati, Pete Hegseth e Tulsi Gabbard porterebbero condannare la presidenza di Trump più di quanto potrebbero mai fare i democratici”.
E, in parallelo, il New York Times: “Gaetz, Gabbard e Hegseth: le scelte di Trump sono una dimostrazione di forza”. Sottotitolo: “Le scelte del presidente eletto Donald J. Trump per il suo gabinetto dimostrano che lui privilegia la lealtà rispetto all’esperienza e che è mosso dal desiderio di vendetta”.
Matt Gaetz, scelto da Trump per il dicastero della Giustizia, è stato bocciato, meglio si è ritirato prima della bocciatura, così che il presidente ha dovuto sostituirlo con Pam Bondi, mentre i due “inaccettabili” sono stati confermati, sebbene con molta fatica.
L’azione di Trump non si limita alle figure apicali. Ha infatti avviato un repulisti del Consiglio di Sicurezza nazionale, come annota la Associated Press: “160 membri dello staff della sicurezza nazionale vengono rimandati a casa mentre la Casa Bianca allinea il suo team all’agenda di Trump”.
Tale processo si sta svolgendo anche all’interno del Pentagono. Lo denuncia, lamentandosene, Jewish insider, annotando che la rivoluzione silenziosa all’interno dell’apparato militare Usa è guidato da Dan Caldwell, veterano dell’esercito diventato poi consigliere del Pentagono e affiliato alla rete Koch, storici sponsor del partito repubblicano.
Le aperture a Corea del Nord, Russia e Cina
“I recenti annunci di nomine per le posizioni chiave [del Pentagono] hanno riflesso la preferenza di Caldwell per una politica estera più moderata, che porterebbe gli Stati Uniti a ridimensionare la loro annosa attenzione sul Medio Oriente e sugli antagonisti regionali come l’Iran e, in parallelo, ad assumere un atteggiamento molto scettico nei confronti di Israele”.
A ciò si aggiungono le aperture alla Russia per raggiungere la pace in Ucraina, con Putin che ieri, rispondendo all’apertura del suo omologo americano, ha dato la sua disponibilità a un incontro con Trump, com’era ovvio che fosse (al solito, Trump ha mascherato le aperture reali con esercizi muscolari del tutto verbali; dinamiche usuali anche nel primo mandato…).
Non pago, Trump ha ribadito il suo desiderio di andare “d’accordo con la Cina”, con parallelo elogio di Xi Jinping nel suo intervento a Davos (riportato sul sito della Casa Bianca), nel corso del quale, peraltro, ha detto che Putin si era detto d’accordo per trovare un accordo sulla de-nuclearizzazione globale e che la Cina avrebbe accolto con favore tale processo.
Da notare che Putin, oltre ad accettare l’invito di Trump, ha voluto aggiungere che la guerra ucraina non sarebbe iniziata se nel 2020 i democratici non avessero rubato le elezioni al suo attuale omologo (ha materiale probatorio in tal senso? Probabile… chissà se lo metterà a disposizione del tycoon).
Non siamo irenici, non crediamo che sia prossima un’età di pace globale. L’Impero ha i suoi interessi e sappiamo perfettamente che è la Forza a forgiare le dinamiche internazionali. Però, è ovvio che Trump si muove per tracciare un nuovo equilibrio mondiale che attutisca i danni e i rischi globali degli ultimi decenni, reputando che la prosperità dell’Impero non sia assicurata dalle guerre infinite quanto da una stabilità che favorisca gli scambi commerciali.
E tale stabilità può ottenersi solo attraverso un accordo quadro con Cina e Russia. Trump sa che ciò gli attirerà gli strali, verbali e non, del partito della guerra globale. Così, prima di fare passi reali verso Cina e Russia, deve coprirsi le spalle, altrimenti ci lascerà le penne. Declassificare i file dell’assassinio Kennedy è un triste promemoria e, insieme, un allarme di quanto può ripetersi.
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DEEPAI
**Abstract**
L'articolo di Davide Malacaria analizza la decisione di Donald Trump di declassificare i documenti sugli omicidi di John F. Kennedy, Robert Kennedy e Martin Luther King. Questa scelta è vista come parte di una strategia più ampia per rafforzare la sua posizione politica, rimuovere figure ostili dalla sua amministrazione e riaprire i canali diplomatici con paesi come Corea del Nord, Russia e Cina. Malacaria discute anche le nomination di Trump ai vertici del Pentagono e la sua ricerca di una nuova stabilità internazionale, suggerendo che il suo approccio potrebbe favorire un cambiamento nelle relazioni geopolitiche globali.
**Scaletta degli argomenti**
1. **Introduzione**
- Importanza della declassificazione dei file
- Strategia politica di Trump
2. **Pulizia interna e nuove nomine**
- Infiltrazione dei circoli neocon e liberal
- Rimozione di figure chiave come Bolton e Pompeo
- Nomine di Pete Hegseth e Tulsi Gabbard
- Resistenza dei media e opposizione politica
3. **Ripulisti nel Consiglio di Sicurezza Nazionale**
- Ritiro di 160 membri dello staff
- Allineamento dell'agenda interna di sicurezza con quella di Trump
4. **Aperture diplomatiche a Corea del Nord, Russia e Cina**
- Aperture verso la Corea del Nord e riavvio del dialogo
- Disponibilità di Putin per incontri con Trump
- Riconsiderazione delle relazioni con la Cina
5. **Verso un nuovo equilibrio globale**
- Critica delle guerre infinite
- Ricerca di stabilità commerciale attraverso accordi con Cina e Russia
- Necessità di coprire le spalle di Trump in vista di possibili opposizioni interne
6. **Conclusione**
- Riflessioni sulla possibile evoluzione delle relazioni internazionali
- Il significato della declassificazione come avvertimento
**Parole chiave (KW)**
- Donald Trump
- Declassificazione
- JFK
- RFK
- Martin Luther King
- Sicurezza nazionale
- Politica estera
- Corea del Nord
- Russia
- Cina
- Stabilità internazionale
- Circoli neocon
- Pulizia interna
- Nomine politiche
- Nuovo equilibrio globale
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