DEEPSEEK INTERNAZIONALE
La Deepseek e il futuro del capitalismo

L’avvento sulla scena mondiale della Deepseek ha sconvolto il mercato dell’intelligenza artificiale. La giovane azienda cinese ha lanciato una versione aggiornata del suo chatbot, Deepseek R1 (un software che simula le conversazioni umane per interagire con una macchina come se si conversasse con una persona), che offre le stesse prestazioni di ChatGpt, il chatbot della statunitense OpenAi, ma richiede una potenza di calcolo inferiore ed è stato realizzato con costi nettamente inferiori. In più i suoi sviluppatori lo hanno pubblicato in formato open source e quindi il codice è accessibile a chiunque voglia studiarlo, migliorarlo o usarlo per sviluppare nuove applicazioni.
Quello che per alcuni esperti, come l’informatico e imprenditore statunitense Marc Andreessen, rappresenta il “momento Sputnik” dell’intelligenza artificiale (riferendosi al lancio del primo satellite da parte dell’Unione Sovietica nel 1957, che stupì l’occidente) ha provocato un terremoto nella borsa statunitense: il 27 gennaio i titoli tecnologici hanno perso complessivamente mille miliardi di dollari; l’azienda più penalizzata è stata quella che più di tutte finora aveva goduto della crescita dell’intelligenza artificiale, la Nvidia, il cui valore di borsa è diminuito in un solo giorno di quasi seicento miliardi, record assoluto per una singola società quotata.
Si moltiplicano i commenti sul caso, esploso proprio mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump presentava un piano da cinquecento miliardi di dollari, lo Stargate, grazie al quale la OpenAi e in generale il settore statunitense dell’intelligenza artificiale dovrebbero consolidare il vantaggio sulla concorrenza. Senza dubbio l’avvento della Deepseek segna una battuta d’arresto per la Silicon valley. E un punto su cui i dirigenti dei colossi tecnologici statunitensi dovranno riflettere sono proprio i soldi: il chatbot R1 dimostra che di per sé la disponibilità di ingenti risorse non è una garanzia di successo.
Come scrive Bloomberg, le aziende statunitensi dell’intelligenza artificiale ripetono da tempo che il loro vantaggio decisivo, il cosiddetto moat (fossato), è il fatto che “nessun altro ha raccolto miliardi di dollari come loro”. Una posizione a dir poco miope, che spiega perché mai colossi come la OpenAi o la Meta Platforms all’improvviso siano andati nel panico di fronte a una giovane azienda cinese che “ha realizzato un software formidabile spendendo grosso modo quanto lo stipendio annuale di un manager della Silicon valley e dimostrando ai colossi statunitensi che la loro vittoria nel campo dell’intelligenza artificiale non è più scontata”.
Questo non vuol dire che gli investimenti non siano importanti, ma solo che non hanno effetto se dietro non ci sono, da un lato, il pensiero e la creatività e, dall’altro, la possibilità di realizzare profitti offrendo alle persone strumenti davvero utili. Commentando i fatti di questi giorni, Trump ha dichiarato che la Deepseek è “un campanello d’allarme” per il settore, chiamato adesso a lavorare duramente per respingere la minaccia, ma d’altra parte anche “una buona notizia”. Il chatbot cinese dev’essere sfruttato dagli statunitensi per cambiare rotta. L’R1, per esempio, offre la possibilità di superare uno degli ostacoli che affliggono l’intelligenza artificiale: il possibile stallo delle capacità di calcolo disponibili per sviluppare e far funzionare i software.
=================
Commenti
Posta un commento