Chi si rivede! Il buon vecchio Lenin ABSTRACT
Chi si rivede! Il buon vecchio Lenin
di Vladimiro Merlin
Fino
al ritorno di Trump andavano per la maggiore varie teorie sul
Superimperialismo transazionale, ora il castello di carte è miseramente
crollato, le contraddizioni interimperialistiche, che si ritenevano
superate tornano prepotentemente al centro della scena.
Da un po’ di tempo in qua, da più parti, si cercava di celebrare il funerale di Lenin, non quello fisico, avvenuto un secolo fa, ma quello politico.
C’era chi sosteneva che il pensiero di Lenin non fosse più attuale, “salvando” solo l’elaborazione sulla Nep, facendo un parallelo tra quella esperienza e il modello attuale del socialismo cinese, senza capire, tra l’altro, che la situazione politica, sociale, internazionale, ecc. dell’Unione Sovietica degli anni ‘20 e quella cinese degli anni ‘80 sono incomparabili.
Senza entrare eccessivamente nel merito, la scelta cinese del socialismo di mercato è nata da un bilancio dell’esperienza cinese nei primi 30 anni di esistenza della Rpc, dalla crisi dell’Unione Sovietica che fu attentamente studiata dal gruppo dirigente cinese, come fu studiata anche l’esperienza della Nep, ma anche quella dell’autogestione Jugoslava, ecc.
Chiudendo questa breve parentesi, che andrebbe sviluppata in uno specifico articolo, torno al tema che intendevo affrontare.
L’ultima versione del “Superimperialismo” fa riferimento alla teoria del 1%, secondo questa teoria meno del 1% della popolazione dei paesi a capitalismo sviluppato, composta da miliardari, principalmente legati al capitalismo finanziario, formerebbe una specie di superclasse transnazionale, ma a predominanza anglo-americana, che determinerebbe le politiche degli Stati nazionali.
Questa teoria è stata utilizzata per “spiegare” come mai gli Stati europei si sono piegati completamente alla politica degli Usa di Biden, pur avendo, tale scelta, precipitato la Ue, e in particolare la Germania, in una crisi economica e politica tra le più gravi della sua storia, la spiegazione era che gli interessi di questa superclasse andavano nella direzione della politica di Biden e quindi tali interessi venivano imposti anche alle classi politiche dirigenti degli Stati della Ue, anche a discapito degli interessi nazionali di questi ultimi.
Quindi, secondo questa teoria, questa superclasse dominerebbe l’economia e la politica e imporrebbe le proprie convenienze e i propri intenti politici sia agli Stati Uniti che all’Europa.
Il primo pesante scacco subito da questa teoria è stata la vittoria di Trump, che ha completamente ribaltato la politica estera Usa, per cui se la superclasse etero dirigeva la politica di Biden e dell’Europa occidentale i casi sono due: o ha improvvisamente cambiato completamente idea oppure non è così onnipotente come si affermava.
Per quanto riguarda gli Usa la politica trumpiana è una estremizzazione degli indirizzi che hanno, da lungo tempo, contraddistinto i Repubblicani, cioè la predilezione per la guerra economica più che per quella militare e una certa tendenza all’isolazionismo, nel senso che anche gli altri paesi capitalistici vengono apertamente visti come avversari.
Diversamente i Democratici hanno sempre giocato la carta della guerra come prima opzione per mantenere o consolidare il loro dominio internazionale, infatti a parte le guerre contro Saddam Hussein in Iraq, tutte le altre guerre “americane” dal ‘45 a oggi sono state iniziate da presidenti democratici, e sono molte, inoltre i Democratici prediligono utilizzare gli stati capitalistici più avanzati come “alleati” (ovviamente subordinati) nelle loro avventure politiche e militari.
Ma se non è la “superclasse” dell’1% a dominare le politiche dei paesi imperialisti cosa guida le loro scelte, e in particolare cosa ha guidato le scelte autolesioniste dei paesi della Ue sulla questione della guerra contro la Russia?
Per comprendere questo fatto occorre aver chiara la natura dell’imperialismo, che è un
sistema gerarchico piramidale al cui vertice, dal ‘45 a oggi, vi sono gli Usa, nel secondo livello della piramide vi sono gli stati europei, il Canada e il Giappone.
In questo secondo livello vi è una stratificazione, come si è ben visto in questo ultimo periodo, con i due Stati che hanno la maggiore potenza militare (e nucleare) la Gran Bretagna e la Francia e la Germania che ha la maggiore potenza economica ma è un nano politico e militare, al di sotto gli altri.
A un livello ancora inferiore vi sono Stati come la Turchia che aspira a scalare la propria posizione per assurgere a potenza di secondo livello.
Ed è proprio questo il punto; nella gerarchia imperialista ogni paese tenta di salire di livello, ma lo può fare solo a spese di chi sta sopra di lui e, ovviamente, chi sta sopra fa di tutto per impedirlo.
Il declino politico ed economico che ha caratterizzato gli Usa negli ultimi decenni poteva mettere, in prospettiva, in discussione il ruolo di vertice di quel paese e per questo motivo Biden con la guerra contro la Russia e Trump con la guerra economica e commerciale vogliono ridimensionare la Ue e rinforzare la loro supremazia su di essa.
Ma, allora, per quali motivi la Ue ha completamente abbracciato la prospettiva della guerra contro la Russia, nonostante le nefaste conseguenze, facilmente prevedibili?
E’ stato per due fattori che si sono sempre più fortemente affermati nel quadro internazionale, due fattori strettamente legati tra di loro, e sono l’enorme ascesa economica, tecnologica, finanziaria, politica e militare della Cina e la crescita, sempre più incontenibile, dei Brics.
Due fattori che non solo mettono sempre più in discussione la posizione dominante degli Usa (non a caso Trump li ha minacciati che se abbandonano il dollaro come moneta di scambio la reazione Usa sarà durissima) ma che mettono anche in discussione il secondo livello imperialistico, quello di Ue,Giappone ecc..
Anche per questo motivo i paesi del secondo livello imperialistico hanno deciso di sostenere la guerra in Ucraina nonostante le conseguenze negative che poteva comportare per loro, perché se la Russia fosse crollata, militarmente, economicamente, e di conseguenza anche politicamente si aprivano per loro due opportunità: una di dare un colpo se non mortale sicuramente molto pesante allo sviluppo, se non all’esistenza, dei Brics, e in secondo luogo di competere con gli Usa per contendersi le spoglie della Russia (o dei vari stati in cui sarebbe stata smembrata) come è accaduto dopo il crollo dei paesi socialisti dell’est Europa, in particolare con una competizione tra gli Usa e la Germania giocata sul piano militare dai primi e su quello economico dalla seconda.
Un episodio molto importante che è avvenuto nel corso della guerra contro la Russia chiarisce la logica imperialista delle nazioni europee.
All’inizio della guerra la Francia era il paese europeo che aveva una posizione più critica su tale scelta, penso che tutti ricordiamo le dichiarazioni di Macron che affermavano che “non è possibile pensare di umiliare la Russia” e quindi alludevano a una possibile soluzione di compromesso, ma da un certo momento in poi, lo stesso Macron, è diventato la punta di lancia dei sostenitori dell’intervento europeo nella guerra, arrivando a ipotizzare l’intervento militare diretto degli eserciti della Ue (o dei paesi volonterosi) in Ucraina.
Cosa è avvenuto? E’ successo che alcuni stati dell’Africa subsahariana che erano ex colonie francesi e che ancora erano in una condizione di semicolonie (tra l’altro in quella zona dell’Africa vi è una moneta , il Franco Cfa, ancorata al Franco francese), si sono ribellati,hanno cacciato i francesi e gli americani e si sono avvicinati alla Russia e alla Cina.
La perdita di queste semi-colonie (il Niger era il fornitore di uranio per le centrali nucleari francesi) ha scatenato la reazione di Macron e originato il ribaltamento delle sue posizioni sulla guerra in Ucraina.
E’ la conferma di quanto ho scritto poco sopra, la proposta politica dei Brics è estremamente attrattiva per la grande maggioranza dei paesi del mondo, che hanno sperimentato, dopo la conquista della indipendenza, come le ex potenze coloniali abbiano continuato, nell’ultimo mezzo secolo, a determinare il totale sfruttamento delle loro risorse a esclusivo vantaggio dei paesi ex colonialisti, senza nessuna contropartita nel loro sviluppo.
Sono quindi le contraddizioni generate dal sistema capitalistico e dalle caratteristiche dell’imperialismo, oltre che dalle forze che li contrastano, che determinano le crisi economiche, politiche e militari, rispetto alle quali nelle classi dominanti, anche del paese al vertice del sistema imperialistico attuale, gli Usa, si formano risposte politiche anche fortemente contraddittorie, persino contrapposte tra loro (come nel caso di Biden e Trump), o ancora più frequentemente tra diversi stati capitalisti.
Se un merito, penso l’unico, ha avuto Trump in questa fase politica, questo è il fatto di aver squadernato le contraddizioni reali in campo tra i grandi paesi capitalisti, che con Biden sembravano una compatta falange in lotta per la difesa della “democrazia”, dei “diritti umani” e del “diritto internazionale”, perché se prima la Nuland poteva dire, ma in una telefonata privata, intercettata e venuta alla luce, “fuck Europe”, ora Trump lo dice apertamente davanti a tutte le televisioni.
Se prima gli Usa lavoravano sotterraneamente per “fottere l’Europa”, come quando intercettavano tutti i grandi capi di stato europei, i grandi manager industriali, bancari ecc., non solo per manipolarli, ma anche e soprattutto per trarre vantaggi, a loro spese, sui terreni politico, economico, tecnologico ecc., ora Trump dice apertamente che vuole fare una guerra economica contro l’Europa, che il Canada deve suicidarsi e diventare il 51° Stato Usa, che con le buone o con le cattive si vuole appropriare della Groenlandia, che fa parte di uno Stato della Ue e della Nato, che si vuole riprendere il canale di Panama.
Se non sono contraddizioni intercapitalistiche ed interimperialistiche queste che cos’altro sono?Tutto questo dimostra che le contraddizioni e le caratteristiche fondamentali dell’imperialismo che Lenin aveva analizzato e messo in luce sono ancora alla base dell’imperialismo attuale, poi, certamente, si sono verificati anche importanti cambiamenti, che vanno considerati.
Quando Lenin scriveva “l’imperialismo fase suprema del capitalismo” non esisteva nessuno stato socialista nel mondo, non esistevano le armi atomiche, la grandissima maggioranza dei paesi e della popolazione del mondo vivevano in uno stato di arretratezza abissale rispetto ai paesi capitalistici più sviluppati (e spesso non avevano nemmeno cognizione della loro condizione), tutti questi cambiamenti determinano delle differenze che vanno valutate e considerate nella azione politica e nella comprensione della realtà attuale, ma le caratteristiche fondamentali del capitalismo e dell’imperialismo non sono cambiate, ancora oggi è da lì che si generano le contraddizioni che mettono in crisi il sistema e che creano le possibilità del cambiamento.
Negli anni ‘70 c’era chi pensava che lo sviluppo del capitalismo in Europa, ma anche negli Usa, in Giappone ecc., fosse arrivato a poter garantire un alto livello di vita ai lavoratori e ai ceti popolari, che l’allora “moderno capitalismo”, anche grazie alle nuove tecnologie, fosse, in grado di assorbire quella che era stata la sua classe antagonista all’interno del sistema, ma in realtà quella situazione era solo il frutto dei rapporti di forza tra le classi in quella fase (sia a livello nazionale che internazionale), infatti quando i rapporti di forza sono cambiati quella situazione è cambiata (in peggio) sempre di più.
Oggi nei Paesi capitalistici più ricchi e sviluppati una parte sempre più ampia della popolazione viene spinta sempre di più nella povertà, molte persone e famiglie faticano ad avere il necessario per sopravvivere, non sono più in grado di curarsi, di far studiare i loro figli, di avere una vita lavorativa serena e dignitosa, e ancora meno una vecchiaia.
Questo avviene perché si produce meno ricchezza che negli anni ‘70?
Assolutamente no. Oggi si produce molta più ricchezza che negli anni ‘70, ma le ricchezze, sempre più enormi, si concentrano sempre più in poche mani.
E’ questo il risultato del fatto che i grandi capitalisti sono malvagi e assetati di sempre maggior potere e ricchezza? In parte può essere vero, perché per diventare dei grandi capitalisti quelle due caratteristiche sono utili e, forse, necessarie, ma il problema nasce dal fatto che è il meccanismo stesso del capitalismo che induce questi comportamenti.
Un capitalista deve sempre crescere e ingrandirsi, perché può sempre trovare un altro capitalista che si ingrandisce più di lui e che determina il suo declino o la sua rovina.
Ma per ingrandirsi e crescere deve produrre sempre più profitti, per aumentare i profitti deve ridurre il più possibile il “costo del lavoro”, questo non lo dico io (e neppure è necessario tirare in ballo Marx) questo lo dicono i capitalisti tutti i giorni; il limite nella capacità del capitalista di aumentare
i suoi profitti e ridurre il “costo del lavoro” sta nei rapporti di forza tra le due classi in quel momento storico.
Quando, a partire dagli anni ‘80, i rapporti di forza tra i lavoratori e i capitalisti sono cambiati, sempre più a vantaggio dei secondi, il cosiddetto “modello sociale europeo” è stato completamente distrutto.
La stessa cosa avviene in campo internazionale con l’imperialismo, che è la proiezione internazionale del sistema capitalistico, anche esso è un sistema competitivo e concorrenziale, in cui ogni stato deve svilupparsi e crescere più degli altri per non essere superato e sopraffatto, ma, invece, essere lui a superare e sopraffare gli altri, in questo caso a essere sfruttati per produrre maggiori ricchezze per gli Stati più potenti sono gli Stati più deboli.
Ma questo meccanismo vale anche per gli Stati imperialisti più forti, tra di loro, anche se fanno parte di una stessa “comunità”, basta guardare alla Ue, dove, dalla sua nascita, gli interessi di Germania e Francia (e Gran Bretagna, quando c’era) sono sempre stati tutelati in modo ben diverso da quelli delle altre nazioni, anche qui in particolare a spese di quelli più deboli, cito un solo caso, che è stato il più eclatante: quello della Grecia.
Quindi torno alla premessa: le analisi e le caratteriste fondamentali dell’imperialismo analizzate e individuate da Lenin non sono assolutamente superate, ma sono ancora alla base dell’attuale imperialismo.
Come, peraltro, quelle analizzate e individuate da Marx del capitalismo, perché non è mutato il rapporto di produzione.
Marx ha individuato nei rapporti di produzione la base dei sistemi sociali, lo schiavismo, il feudalesimo, il capitalismo, sono basati su rapporti di produzione diversi, lo schiavo, il servo della gleba, il lavoratore salariato, finché non cambierà il rapporto di produzione i meccanismi fondamentali del capitalismo non possono mutare, ma se muta il rapporto di produzione non si è più nel capitalismo, si è in un altro sistema sociale.
Le fantasiose teorie che da sempre, ma in particolare dagli anni ‘70, si susseguono, partendo dal presupposto che “niente è più come prima” e che i mutamenti tecnologici possano, di per sé, cambiare la società, sono tutte naufragate in breve tempo, sullo scoglio della realtà, perché i mutamenti tecnologici o la forma giuridica nei rapporti di lavoro non cambiano la natura del rapporto di produzione tra capitalista e lavoratore salariato.
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