C’era una volta l’egemonia, borghese ABSTRACT

 

C’era una volta l’egemonia, borghese

di Antonio Cantaro

Il Progetto giuridico, il più acuto libro italiano di storiografia filosofica e giuridica dell’ultimo mezzo secolo, verrà discusso a Urbino, alla presenza dell’autore, Pietro Costa, mercoledì 9 aprile a partire dalle ore 11,00 (Aula 1, Scienze Politiche, Piazza Gherardi 4)

Una ripubblicazione arricchita dalla preziosa presentazione di Filippo Del Lucchese e Marco Fioravanti e da un’intervista inedita all’autore (qui il link per partecipare online al seminario). L’opera, forse la più densa del raffinatissimo studioso fiorentino, è un’archeologia della formazione economico-sociale capitalistica in Inghilterra tra XVI e XIX secolo da Hobbes a Bentham. “Ricerche sulla giurisprudenza del liberalismo classico”, recita il sottotitolo. Un libro, dunque, sull’ideologia, a lungo egemone, della moderna borghesia liberale. Un libro sulla rappresentazione della società capitalistica come modello globale di vita sociale grazie anche alla sua messa in forma da parte del “giuridico” che l’autore sapientemente squaderna tanto nei suoi aspetti ‘progressivi’ quanto in quelli ‘classisti’. Libri di questo genere se ne sono sempre scritti pochi e se ne scrivono sempre meno. Perché?

 

Autocomprensione socioculturale. Due domande

Nell’intervista Pietro Costa dà conto della ragione esistenziale che ha animato la sua determinazione a scrivere Il progetto giuridico. La convinzione diffusa negli anni settanta, in diversi ambienti intellettuali (non solo marxisti), che interrogarsi sulla modernità fosse la condizione sine qua non della propria autocomprensione socioculturale. C’è, in particolare, un passaggio che ha suscitato immediatamente la mia curiosità, ma che l’autore mette tra parentesi: oggi, dice Costa, “esiterei a sottoscrivere” quella convinzione e l’altra a essa connessa di una ‘precomprensione’ categoriale, di una più o meno elaborata e consapevole ‘filosofia della storia’ che promette di possedere la chiave esplicativa del processo storico.

La prima domanda che rivolgo all’autore è la seguente. Studiare oggi la modernità giuridica, non è, dunque più di ausilio per la nostra auto-comprensione socioculturale? Lo “spirito dei tempi” è cambiato a tal punto che la modernità liberale non è più d’ausilio alla comprensione della postmodernità neoliberale?

La seconda domanda è, eventuale e, per così dire, più personale. Se veramente le forme al centro della sua opera – proprietà e lavoro, diritto soggettivo e contratto, e non solo – non sono quelle più egemoniche nella postmodernità liberale, perché ripubblicare oggi Il progetto giuridico e invitarci a rileggere un libro totale su una egemonia che non c’è più o che, comunque, segue altri percorsi e si manifesta in altre forme?

Pietro Costa può legittimamente rispondere che siamo di fronte a una ripubblicazione, non a una seconda edizione riveduta e accresciuta. E in effetti su quella parentesi Pietro Costa non torna più, se non in qualche modo indirettamente quando ricorda che Il progetto giuridico è «stato un libro relegato ai margini della storiografia giuridica e filosofico-giuridica, per lunghi anni avvicinato soltanto da sporadici e curiosi lettori». Ipotesi avvalorata, dalle pur lusinghiere parole contenute nella ricca e attenta presentazione di Filippo Del Lucchese e Marco Fioravanti quando ricordano che Il progetto giuridico è un libro ‘inclassificabile’. Il che gli ha consentito di attraversare le generazioni e ‘le muraglie cinesi disciplinari’. Ma anche, in un ambiente universitario e intellettuale sempre più chiuso negli ambiti disciplinari, di essere largamente ignorato.

 

Interdisciplinari, ‘indisciplinati’

Pietro Costa sembra avvalorare, nelle pagine conclusive dell’intervista, questa spiegazione sulle ragioni della perifericità del suo libro quando si sofferma sul tema dell’avversione nel nostro mondo alla ricerca interdisciplinare. Le cose apparentemente non stanno così. Pietro Costa sa benissimo che noi cantiamo quotidianamente le “magnifiche e progressive sorti dell’interdisciplinarietà”. Una retorica che, tuttavia non corrisponde alla realtà. Per la ragione che l’interdisciplinarietà alla quale noi attingiamo interviene solo – uso le parole del nostro autore – post factum: «non nel vivo dell’attività di ricerca, ma in convegni che sono ‘interdisciplinari’ in quanto diverse ricerche ‘disciplinari’ vi vengono ospitate.

Le cose da questo punto di vista sono oggi peggiorate rispetto agli anni settanta del secolo scorso. Allora – dice Pietro Costa – era frequente definire il proprio progetto di vita e di ricerca fra i venti e i trenta anni ed era, perciò possibile, malgrado l’Università fosse una istituzione per molti versi sgangherata e polverosa, che alcuni artigiani del pensiero potessero praticare il loro essere ‘indisciplinati’: dedicarsi, cioè, «alla pratica della libertà». Oggi, viceversa, «si continua a essere ‘giovani’ per un tempo indefinito, ostaggi di master, dottorati e post-dottorati che sembrano efficaci soprattutto nel limitare l’autodeterminazione e la libertà di movimento dei malcapitati».

 

‘Stai nel tuo orto’

La periferizzazione dei pochi che oggi praticano l’interdisciplinarietà è, dunque, tutta da imputare ad un ambiente – in particolare quello universitario – che non tollera e scoraggia «l’indispensabile spirito di avventura del ricercatore?» Per tanti versi è così.

Qualche giorno fa ho ricevuto da parte di un giovane ricercatore un messaggio, rigorosamente via watts app, che interloquiva con un mio scritto, forse eccessivamente retorico, nel quale auspicavo il ritorno della politica quale condizione necessaria per mettere in forma la cosiddetta crisi esistenziale dell’Europa. Alludevo alla politica progetto, un tempo la dimensione pratica per eccellenza dell’agire sulla base di una visione d’insieme, di una visione, tra virgolette, “interdisciplinare”.

Leggo il messaggio nella sua interezza: «Mi chiedo – scrive il giovane ricercatore – chi potrà e saprà incamminarsi sul sentiero che porta al ritorno della politica. La mia generazione è interamente presa – giustamente, mi viene da dire – dall’impegno quotidiano a procacciarsi una pagnotta, ciclicamente sottratta da un sistema orientato proprio alla destrutturazione della persona. Il problema privato della sopravvivenza non assume mai, forse anche per colpa nostra, una dimensione autenticamente pubblica e si converte alla fine in una lotta non già contro chi ci ha ridotti in questo stato, ma contro i nostri stessi compagni. Un triste epilogo voluto e imposto dall’alto: se vuoi la pagnotta, stai nel tuo. Difficile che questo corpo malato potrà partorire statisti che sappiano raddrizzare il processo di integrazione. E non vedo cure efficaci all’orizzonte (…)».

 

L’antropologia imperiale del capitale umano

Ho risposto al giovane ricercatore che sentivo come una offesa cavarmela con frasi a effetto al tema crudo e drammatico che mi aveva posto, che era meglio trovare l’occasione per parlarne collettivamente e pubblicamente. Penso di avere fatto bene. Anche se credo che è proprio la neutralizzazione della politica ciò che rende oggi cogente l’ingiunzione a “stare nel tuo orto”, nella tua asfittica disciplina.

So di fare a questo punto un volo che apparirà pindarico se dico che ad avere reso relativamente periferico il Progetto giuridico è il fatto che è stato scritto in un momento a partire dal quale la “neutralizzazione della politica” stava cominciando a diventare il credo esclusivo del neo-liberalismo, dell’ideologia dominante nell’ultimo mezzo secolo. Sarò crudo, forse troppo. Il progetto giuridico-politico dal quale si occupa il libro di Pietro Costa è distante anni luce dal progetto del neoliberalismo del capitale umano dei nostri giorni. L’individualismo hobbesiano – l’uomo come ‘soggetto di bisogni’ – è, infatti, come sottolinea lo stesso Costa, sì assoluto, «in sé compiuto perciò ‘metafisico’ pre-storico»; ma è anche un individualismo chiamato, da subito, a fare i conti con il mondo dei-soggetti-altri, della intersoggettività, del ‘sociale’.

Il protagonista dell’individualismo neoliberale, post-moderno, è, viceversa il soggetto del desiderio tout court, il soggetto singolare e liquido delle relazioni di consumo e di potere, il soggetto illimitato, l’homo deus il cui spirito dionisiaco, deposti gli antichi dei, ha messo la tecnica al posto del progetto di società che, pur con i suoi lati oscuri e aporie, era l’orizzonte del progetto borghese.

La capitalizzazione dell’umano e l’umanizzazione del capitale – il cogente progetto antropologico del neoliberalismo – ha in questi decenni fatto terra bruciata della stessa possibilità di un progetto politico-giuridico in grado di mettere in forma la dimensione economico-pulsionale. Al posto dell’antropologia dell’homo oeconomicus aequalis del primo diritto moderno e dell’antropologia dell’homme situè dei trenta gloriosi si è insediata un’antropologia imperiale. Come inequivocabilmente suggerisce Il vento che soffia d’oltre atlantico: un imprenditore spregiudicato e l’icona dell’AI che prendono il posto del ‘politico’ e del giuridico (M. Barcellona, B Montanari, Potere e negoziazione. Il diritto al tempo del post-pensiero, Castelvecchi, 2023). Con l’effetto, che è davanti ai nostri occhi, di una guerra civile molecolare, permanente, quotidiana, dentro l’Occidente.

L’auspicio è – vorrei poter dire al mio giovane ricercatore – che, come dice il poeta, dove cresce il pericolo cresce anche la speranza. La speranza, per stare al nostro mestiere, di un’autentica interdisciplinarietà. Quella di cui parlava Roland Barthes ne Il brusio della lingua quando ricordava che al pensiero interdisciplinare non basta prendere un «soggetto, un tema, e intorno a esso chiamare a raccolta uno o più saperi, ma occorre che tali saperi generino un oggetto nuovo, che non appartiene a nessuno di essi».

Per me i libri e i saggi di Pietro Costa, più o meno monumentali che fossero, sono sempre stati tutti autenticamente interdisciplinari. La gratitudine che gli esprimo deriva dalla certezza che continuerà su questa temeraria strada.

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Perplexity

Certo! Ecco una presentazione e una sintesi schematica del saggio "C’era una volta l’egemonia, borghese" di Antonio Cantaro, dedicato a "Il Progetto giuridico" di Pietro Costa.

Presentazione del Saggio

Il saggio di Antonio Cantaro riflette sull’importanza e l’attualità de "Il Progetto giuridico" di Pietro Costa, considerato uno dei più acuti contributi italiani alla storiografia filosofica e giuridica degli ultimi decenni. L’opera di Costa analizza l’archeologia della formazione economico-sociale capitalistica in Inghilterra tra il XVI e il XIX secolo, indagando la giurisprudenza del liberalismo classico e l’egemonia ideologica della borghesia liberale.

Cantaro si interroga sul senso di ripubblicare oggi un libro che analizza un’egemonia ormai superata o trasformata, e discute con l’autore il valore della modernità giuridica per la comprensione della nostra attuale postmodernità neoliberale. Il saggio affronta anche il tema della crisi dell’interdisciplinarità nella ricerca accademica contemporanea e la marginalizzazione di approcci "indisciplinati" come quello di Costa. Infine, Cantaro riflette sulle trasformazioni dell’antropologia sociale e politica, dal soggetto borghese moderno all’individuo neoliberale, e auspica un ritorno a una vera interdisciplinarità capace di generare nuovi oggetti di pensiero.

Sintesi Schematica

1. Contesto e Opera

  • Libro analizzato: "Il Progetto giuridico" di Pietro Costa

  • Tema centrale: Archeologia della formazione capitalistica e della giurisprudenza liberale in Inghilterra (XVI-XIX sec.)

  • Sottotitolo: Ricerche sulla giurisprudenza del liberalismo classico

2. Domande chiave

  • Attualità della modernità giuridica: È ancora utile per comprendere la società attuale?

  • Motivazione della ripubblicazione: Perché rileggere oggi un’opera su un’egemonia che sembra superata?

3. Risposte e riflessioni

  • Marginalità dell’opera: Il libro è stato poco considerato per la sua natura interdisciplinare e "inclassificabile".

  • Crisi dell’interdisciplinarità: Oggi la ricerca è più settoriale e meno aperta all’avventura intellettuale rispetto agli anni ’70.

  • Condizione dei giovani ricercatori: Precarietà e mancanza di libertà di ricerca, con l’invito a "stare nel proprio orto".

4. Trasformazioni sociali e politiche

  • Neutralizzazione della politica: Il neoliberismo ha reso marginale il progetto politico-giuridico.

  • Nuova antropologia: Dal soggetto borghese (homo oeconomicus) al soggetto neoliberale (homo deus, individualismo liquido).

  • Effetti: Disgregazione sociale, guerra civile molecolare, perdita di visione collettiva.

5. Auspicio finale

  • Speranza nell’interdisciplinarità autentica: Generare nuovi oggetti di pensiero, superando i limiti disciplinari.

  • Riconoscimento a Costa: I suoi lavori sono esempio di vero pensiero interdisciplinare.

Se vuoi una versione ancora più schematica (ad esempio in punti elenco o mappa concettuale), fammi sapere!

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