Il declino di sua maestà il dollaro ABSTRACT
INTERNAZIONALE Numero 1610 del 18 aprile 2025
Il declino di sua maestà il dollaro
La guerra commerciale scatenata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump pone le basi per il ridimensionamento del biglietto verde come valuta di riferimento dell’economia globalizzata
n un sistema commerciale e finanziario globale gli scambi avvengono attraverso una valuta principale che, per il paese che la emette, è fonte di potere e ricchezza enormi. Gli Stati Uniti devono semplicemente stampare dollari e scambiarli con prodotti alimentari, petrolio, smartphone o automobili. È come se tutte queste merci si materializzassero dal nulla quando nuovi dollari entrano in circolazione, perché tutti nel mondo hanno bisogno di dollari e sono felici di scambiarli con le merci prodotte con un duro lavoro. Provate a fare lo stesso trucchetto con il peso argentino. Ovviamente è impossibile. La gente vuole i dollari.
Non tutti sono contenti di questa situazione. Un documento pubblicato dal ministero degli esteri cinese nel 2023 osservava che “produrre una banconota da 100 dollari costa solo 17 centesimi, ma gli altri paesi devono sborsare 100 dollari di merci vere per averne una. Da più di cinquant’anni gli Stati Uniti godono di un privilegio esorbitante e della possibilità di fare debiti senza sacrifici grazie al dollaro, e usano la loro valuta per saccheggiare le risorse e le fabbriche di altri paesi”. Dal momento che oggi gran parte del denaro circola sotto forma di valuta elettronica, il ministero cinese in realtà sopravvaluta quanto costa ottenere 100 dollari di merci: si può fare gratis.
Negli ultimi secoli il ciclo delle grandi potenze è coinciso con quello delle valute di riserva. Se gli Stati Uniti smetteranno di essere la potenza principale, allora anche il dollaro non sarà più la valuta di riserva globale. Un capovolgimento così radicale può avvenire dopo una guerra mondiale o una crisi finanziaria catastrofica. Si potrebbe però pensare che una potenza dominante dovrebbe essere in grado di impedire esiti simili. È qui però che le cose si fanno più interessanti e anche più complicate. Essere i titolari della valuta di riserva globale è un privilegio e allo stesso tempo una maledizione. Se un paese può arricchirsi semplicemente stampando moneta, è probabile che perda interesse a produrre beni materiali. Potrebbe entrare in gioco un dinamica psicologica, ma anche se così non fosse, ci sarebbe sempre un meccanismo monetario. Se tutto il mondo vuole avere un patrimonio nella valuta di riserva globale, per risparmiare, investire o speculare, allora quella valuta sarà estremamente sopravvalutata. Non rifletterà più la domanda e l’offerta nei mercati e non permetterà più ai deficit commerciali di tornare in equilibrio.
Per il paese titolare della valuta di riserva globale sarà molto difficile vendere sui mercati globali le sue merci, il cui valore è gonfiato artificialmente, e di conseguenza il settore manifatturiero, l’agricoltura e perfino molti servizi si sposteranno altrove. Quel paese potrebbe finire per specializzarsi in servizi finanziari, nella gestione dei soldi, a spese praticamente di tutto il resto.
Quando Donald Trump si lamenta dei pesanti deficit commerciali che gli Stati Uniti sopportano da tempo, non capisce che non dipendono né dai dazi né da altri ostacoli imposti dagli altri paesi alle esportazioni statunitensi, ma dagli enormi flussi di denaro che si dirigono verso gli Stati Uniti e nelle tasche della classe che sta guadagnando migliaia di miliardi di dollari da questi flussi. Se vuole eliminare i deficit dovrebbe cercare di ridurre o limitare questi flussi, andando contro gli interessi di Wall street. Ma non è facile.
Un piano disperato
Il piano disperato di imporre dazi a tutto il mondo non è bastato a risolvere il dilemma: come evitare le conseguenze legate al ruolo di titolare della valuta di riserva globale senza ridimensionare questo ruolo? A quanto pare è impossibile. Appena è stato annunciato l’obiettivo di portare gli Stati Uniti a non avere più deficit commerciali con il resto del mondo, i mercati finanziari hanno cominciato a mandare segnali d’allarme. Il tracollo dei titoli di stato statunitensi si aggravava ogni volta che Trump apriva bocca.
La fiducia nel dollaro ha cominciato a vacillare e molti investitori stanno cercando alternative. Il 10 aprile, dopo l’annuncio di una pausa sui dazi, ci sono state alcune delle oscillazioni più violente sui mercati valutari degli ultimi dieci anni. Il dollaro si è svalutato con ampi margini rispetto all’euro e al franco svizzero e i rendimenti dei titoli di stato statunitensi sono saliti molto più rapidamente di quelli del governo tedesco. Questo non sarebbe dovuto succedere, perché nei momenti di crisi in genere tutti si spostano sui titoli di stato, che sono gli investimenti più sicuri. Cosa sta succedendo?
Sicuramente gli investitori temono che i dazi provocheranno una recessione e l’aumento dell’inflazione negli Stati Uniti, ma allo stesso tempo considerano la possibilità che l’economia statunitense sia sul punto di scollegarsi dal resto del mondo o comunque di diventare meno centrale negli scambi globali. In questo caso anche il dollaro sarebbe meno centrale. D’altronde in un mondo senza deficit gli altri paesi non potrebbero accumulare dollari grazie ai loro surplus commerciali. Anzi, se Trump va avanti per la sua strada, probabilmente gli statunitensi compreranno titoli di stato stranieri.
E cosa succede se Trump limita il flusso di capitali verso gli Stati Uniti o, peggio ancora, tassa i titoli in dollari? Fino a poco tempo fa questi rischi erano liquidati come impossibili, oggi non è più così. È in corso un vertiginoso processo di erosione della fiducia nel dollaro. Le valute di riserva crollano dall’interno, vittime delle loro contraddizioni e dei conflitti politici che quelle contraddizioni alimentano. Oggi gli Stati Uniti applicano estese sanzioni ai paesi nemici, ma anche ai paesi amici che non le rispettano. Ormai nessuno è sicuro che non ci saranno discriminazioni tra i titoli posseduti dagli statunitensi e i titoli in mano ai cittadini stranieri, una delle condizioni di base per una valuta globale.
Molti investitori pensano che i loro patrimoni potrebbero essere più al sicuro fuori dagli Stati Uniti. L’Europa e il Giappone sono delle buone alternative, soprattutto ora che hanno bisogno di indebitarsi per finanziare le politiche di riarmo. Trump dovrà affrontarne le conseguenze. I suoi elettori gli chiederanno di agire e per ora sognano una nuova epoca d’oro dell’industria. Il presidente forse è convinto di poterci riuscire senza sacrificare il dominio del dollaro, ma gli ultimi giorni hanno dimostrato che ogni azione ha una reazione. Tenterà altre vie per realizzare il suo programma, forse con rinnovata ferocia. Ma il re dollaro farà fatica a sopravvivere. ◆ gim
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ChatGPT
Certo! Ecco una presentazione sintetica seguita da una sintesi analitica e critica del saggio “Il declino di Sua Maestà il dollaro” di Bruno Maçães, pubblicato su The New Statesman.
📘 Presentazione del saggio
Nel saggio “Il declino di Sua Maestà il dollaro”, Bruno Maçães analizza le conseguenze geopolitiche e finanziarie della guerra commerciale lanciata da Donald Trump, sottolineando come le politiche protezionistiche statunitensi stiano minando la stabilità del dollaro come valuta di riserva globale.
L'autore mostra come l’egemonia monetaria statunitense, fondata sul fatto che il dollaro sia il mezzo di scambio e riserva di valore principale del sistema economico internazionale, garantisca potere spropositato agli USA: la capacità di ottenere beni reali in cambio di moneta stampata, a costi trascurabili. Ma questo “privilegio esorbitante”, già denunciato da De Gaulle e ora criticato esplicitamente da Pechino, si sta ritorcendo contro Washington, trasformandosi da vantaggio strategico a fardello strutturale.
Attraverso un'analisi serrata, Maçães illustra le tensioni tra il desiderio di Trump di eliminare i deficit commerciali e il ruolo imperiale del dollaro, sostenuto proprio da quei flussi di capitale che alimentano gli squilibri. In questo paradosso si cela, secondo l'autore, il declino annunciato del dollaro.
🧠 Sintesi analitica e critica
1. Il potere dietro il dollaro
La forza del dollaro è basata su un principio tanto semplice quanto squilibrato: il resto del mondo accetta di scambiare beni reali con dollari creati a costo irrisorio. Questo rende gli Stati Uniti in grado di accumulare ricchezza senza produrre, alimentando la dipendenza degli altri paesi da una moneta che essi stessi non controllano. Il dollaro, in questo senso, diventa un’arma geopolitica e un meccanismo di estrazione di valore globale.
2. La maledizione dell’egemonia
Maçães evidenzia il lato oscuro di questo potere: essere titolari della valuta di riserva implica avere una moneta costantemente sopravvalutata, che penalizza le esportazioni, gonfia i deficit e svuota l’economia produttiva a vantaggio della finanza. Gli USA finiscono per deindustrializzarsi e specializzarsi in servizi ad alta redditività ma bassa occupazione, con effetti devastanti sulla coesione sociale e la base elettorale del trumpismo.
3. L’illusione trumpiana
Secondo l’autore, Trump non comprende – o finge di non comprendere – che i deficit commerciali non sono causati da barriere imposte da altri paesi, ma da un meccanismo sistemico che favorisce l’afflusso di capitali verso gli Stati Uniti. I dazi non sono quindi una soluzione, ma un sintomo della crisi dell’egemonia monetaria americana.
4. Il piano disperato e le sue conseguenze
Il tentativo di Trump di ripristinare la bilancia commerciale attraverso dazi generalizzati e politiche aggressive ha avuto l’effetto contrario: ha scosso la fiducia nei mercati, generando turbolenze valutarie e una svalutazione inattesa del dollaro. I rendimenti dei titoli di stato USA sono aumentati, segnalando una perdita di fiducia da parte degli investitori internazionali.
5. La fine del dollaro?
Il saggio propone una tesi potente: le valute di riserva non cadono per colpi esterni, ma crollano dall’interno, quando le contraddizioni del sistema diventano insostenibili. Le sanzioni unilaterali, il trattamento differenziato degli investitori stranieri, la perdita di centralità nei commerci globali – tutto contribuisce a corrodere il ruolo globale del dollaro.
6. Scenari alternativi
Maçães chiude con una riflessione sulle alternative sistemiche: Europa e Giappone potrebbero attrarre flussi di capitale, anche grazie ai piani di riarmo e indebitamento pubblico. I capitali in fuga dagli USA potrebbero contribuire a costruire nuovi poli di stabilità finanziaria, segnando l’inizio di una transizione multipolare anche sul piano monetario.
🔚 Conclusioni
Il saggio di Bruno Maçães rappresenta una lucida decostruzione del mito del dollaro come pilastro intoccabile dell’economia globale. Mettendo in relazione geopolitica, economia e psicologia collettiva, l’autore suggerisce che l’egemonia americana, più che da una minaccia esterna, rischia di essere compromessa da errori di strategia interna e contraddizioni strutturali.
La visione di Maçães si distingue per realismo critico: non profetizza un imminente crollo del dollaro, ma ne delinea il processo di erosione graduale, già in atto nei segnali dei mercati e nelle scelte di molti investitori globali.
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