La conoscenza della storia, l’Occidente e il libero arbitrio
La conoscenza della storia, l’Occidente e il libero arbitrio
di Algamica*
Convinti
con Marx che la coscienza degli uomini sia il risultato del processo
determinato e impersonale del rapporto degli uomini con i mezzi della
produzione e con la natura. Allo stesso riteniamo così sia per lo
sviluppo di tutte le scienze, tra le quali vi è la storiografia e il
ruolo dello storico che ne discende. Contestiamo, perciò, tutte quelle
concezioni che ritengono che il motore della storia sia il risultato
della volontà degli uomini e della capacità di far uso della ragione.
Sarebbe, perciò, il libero arbitrio
degli uomini a guidare la storia. Solo che anche la concezione del
libero arbitrio altro non è che un costrutto materiale e il risultato di
precisi processi storici. E’ chiaro che seguendo la forza storica di
questa concezione – che si impone dal Rinascimento e raggiunge la piena
maturazione nell’Illuminismo e nella formulazione del “sapere aude”,
tutto quanto ne consegue è giustificato. Si rimane senza argomenti di
fronte all’arringa finale dell’ex “comunista” Rampini: «[...] e va bene,
noi Occidentali abbiamo insanguinato l’Africa, eppure ora la durata
della vita media in Africa è superiore rispetto al passato grazie a noi.
Grazie a noi in Africa quasi tutti posseggono un telefono cellulare e
si connettono al mondo ».
Ci viene rinfacciato, che ci piaccia oppure no, che l’Occidente anche saccheggiando il mondo e passando di genocidio in genocidio, epperò ha consentito lo sviluppo o il progresso universale.
Parafrasando Immanuel Kant, i liberisti alla Rampini o alla Ernesto Galli della Loggia, sostengono che gli uomini europei e Occidentali seppero superare l’ignoranza e lo stato di minorità nei confronti delle relazioni con il mondo esterno. Seppero, cioè, far prevalere e precedere l’idea all’istinto dando impulso all’azione razionale, che a sua volta diviene intrapresa.
Lo storico del liberismo non può che sottolineare alla prova dei fatti che l’uomo europeo e Occidentale anche attraverso le sue nefandezze sia stato proprio lui a mettere in comunicazione il mondo.
Seguendo questo modo di indagare i fatti aggiunge che questa virtù di concepire una idea in sé e a priori è “sbocciata” in Occidente, e dunque, anche tutte le idee di progresso sociale sono nate qui in Occidente, ivi inclusa, come dice Ernesto Galli della Loggia, quella concezione particolare e “profetica” della «rivoluzione sociale da cui è nata la più variegata ideologia rivoluzionaria ».
Ovviamente il professore allude alla concezione marxista della storia, che è storia della lotta tra le classi dove una si deve avvalere del proprio libero arbitrio, dotandosi di coscienza rivoluzionaria, per trasformare il mondo.
Una idea non nasce nel vacuo, figuriamoci la coscienza sociale, essa corrisponde sempre a certe necessità materiali già poste dai rapporti di un modo di produzione. Quando i fattori materiali che li hanno fatto sorgere si esauriscono è impossibile anticipare quali domande e quali nuove necessità verranno a determinarsi. Le modalità di una crisi differiscono sempre e la storia non può mai ripetersi eguale a se stessa.
Va ribadito perciò che ritenere il libero arbitrio, degli uomini, di una classe sociale particolare, o peggio ancora di un personaggio, possa essere il motore della storia è un abbaglio. In quanto costrutto storico che esso abbia corrisposto a una funzione finalizzata, ci può stare.
Ma anche il sistema tolemaico svolse utilmente la sua funzione per i navigatori e i mercanti fino a che non si dovettero cimentare con le rotte oceaniche.
L’acquisizione e la formazione della conoscenza non si dà a priori, ma viene a determinarsi all’interno del più generale svolgersi del movimento storico del rapporto degli uomini con i mezzi di produzione e dello scambio.
La conoscenza della storia, dunque, è anche essa un prodotto delle attività umane che diviene a un certo punto una attività necessaria che si trasferisce alle nuove generazioni mediante le relazioni sociali.
Come tutte le merci, anche le idee sono una merce e circolano attraverso la fitta rete del mercato. Come sul mercato predominano le merci in base alla misura del valore del lavoro sociale che incorporano, anche le ideologie, non sono altro che una disambiguazione della storia moderna prodotta da quelle stesse leggi impersonali. Incluse anche quelle che tra loro si rappresentano come contrapposte? Si.
Si diffonde un modo di produzione, per cerchi concentrici, con leggi impersonali proprie e idee a esso corrispondenti. Dominando, così, l’intero spettro dei popoli e delle nazioni. Per lo storico o per il filosofo, perciò, le cose si appalesano in seguito del successo della merce più produttiva che si è imposta. Di riflesso agente risulta loro che sia stato l’Occidente a innovare e inventare ogni cosa, fino a inventare anche a un nuovo modello sociale, ovvero il modo di produzione capitalistico.
Sicché il resto del mondo, costretto a rincorrere l’Occidente attraverso le leggi impersonali di quegli stessi rapporti, non ha potuto fare altro per tutto un corso storico che dotarsi delle stesse “idee” fabbricate in Europa.
Traduciamo la cosa dicendo che la concezione della storia avanzata dagli storici liberisti rimanda all’Illuminismo, cioè a che la civiltà Occidentale si è data da sé per virtù peculiari proprie, molto specifiche. E che ciò che la circondava era tutto sommato importante ma non determinante perché arretrata. La peculiarità sarebbe il brodo di coltura storico delle idee del mondo ellenico e romano, di quello cristiano e infine di quelle dell’Umanesimo e del Rinascimento, che sottraendo l’uomo allo stato di minorità di fronte a Dio e alla natura ha dato impulso alla storia. Una storia ritenuta per gran parte del XX secolo per un millennio e più immobile nel corso del medioevo. E proprio per questa capacità degli Occidentali di andare oltre attraverso il “sapere aude” di kantiana memoria, che la storia li ha premiati ponendoli a primeggiare da svariati secoli sul resto del mondo.
Mentre il resto del mondo, che non avrebbe saputo “laicizzarsi” e “secolarizzarsi” è rimasto inchiodato al proprio destino e nello stato di minorità.
Una impressione ben rilevata dai primi storici della black revolution degli afroamericani che si battevano in Nord America contro il regime delle leggi di Jim Crowe e il razzismo sistemico. W.E.B. Du Bois aveva chiaro come agli occhi degli ex schiavi e dei popoli africani ancora sotto il peso di secoli di violenza coloniale e schiavitù, gli eserciti delle nazioni cristiane erano ritenute “forze della natura” invincibili. Poi però nel 1905 per la prima volta accadde qualche cosa fin lì mai immaginata prima, che un esercito di una nazione cristiana, la Russia zarista, venisse pesantemente sconfitta dal Giappone, in una guerra contro una nazione non bianca, non europea e non cristiana. E se quello fu uno shock psicologico nell’immaginario collettivo degli Stati Uniti d’America che si affacciavano nel Pacifico come potenza imperialista in tumultuosa ascesa, fu un tonico per gli afroamericani che si trovavano nella necessità di combattere il colonialismo in Africa e il razzismo negli Stati Uniti. Le forze delle nazioni europee, bianche e cristiane non erano “naturali” ma determinate da precisi fattori storici. Gli afroamericani e le correnti del movimento della black reconstruction iniziarono a guardare con simpatia al risveglio del continente asiatico e in particolar modo verso il Giappone. Le nazioni dell’Africa, del resto, non avevano mai subito il colonialismo da parte dei giapponesi o da parte di ogni altra nazione dell’Asia, quindi era naturale e comprensibile la loro simpatia verso la “nazione del sole nascente”. Una simpatia che gli afroamericani pagarono amaramente divenendo per decenni anche il bersaglio della crescente campagna sciovinista antigiapponese che ribolliva negli Stati Uniti d’America.
Una ondata rivoluzionaria nelle colonie dell’Asia e dell’Africa, così come nell’America Latina produsse come risultato necessario del moto anticoloniale stesso anche quello di chiamare in causa la concezione della storia prodotta dagli occidentali, ivi incluso i caratteri eurocentrici del marxismo europeo. Fu anche quello un risultato di una necessità rivoluzionaria nei rapporti del mercato mondiale combinato e diseguale tra la metropoli imperialista e la campagna che produce le materie prime necessarie per la produzione e il consumo della metropoli. Un moto generale che pose la domanda per una nuova conoscenza della storia che contestava “l’idea” che l’Occidente si fosse sviluppato per virtù proprie ereditandole ininterrottamente dal mondo antico. Edward Said fu tra quelli che introdusse che l’idea della storia che gli occidentali avevano e di come rappresentavano la “civiltà Occidentale”, fosse in ultima istanza un costrutto sociale inventato. Certamente un costrutto estremamente potente e con conseguenze di vasta portata nel mondo reale, fabbricato però nel recente passato appunto dalle nazioni europee come prodotto intellettuale che giustificava storicamente l’assetto imperialista, la schiavitù e il razzismo.
Questo primo seme di consapevolezza, prodotto dalle rivoluzioni anticoloniali, si è dato in ogni caso ancora all’interno di un ciclo espansivo del modo di produzione capitalistico. In virtù del nuovo quadro di adattamento a un forma ancora più interconnessa del rapporto imperialista, la stessa concezione storica di Edward Said – ricordiamo un palestinese la cui famiglia fu costretta dalla Nakba a trasferirsi negli Stati Uniti d’America – è stata variamente rimasticata per necessità dalla produzione intellettuale delle solite grandi potenze democratiche. Che certamente hanno iniziato ad ammettere le colpe del colonialismo, ma solo per riconfermare che la “civiltà Occidentale” possiederebbe peculiarità intrinseche e indipendenti.
Oggi, nuovi studi storici e nuove prove archeologiche abbondano e dimostrano che la cosiddetta civiltà Occidentale non si sia data nel vacuo, ma che si sia avvalsa di tutta una fitta rete di scambi con il Levante e l’Oriente, della tratta degli schiavi nelle Americhe e del genocidio dei popoli nativi. Continue prove storiche che mettono alla gogna il mito di un ininterrotto formarsi lungo i secoli e in continuità a partire dal mondo ellenico e poi romano della identità europea e occidentale. I greci, quanto i romani, non concepivano le relazioni col mondo in quanto “europei” o “occidentali”. La concezione che il mondo greco-romano rappresenti un’unica entità e la base dell’antichità classica si è fatta strada gradualmente nell’Italia rinascimentale solo a partire dal XIV secolo. Tuttavia, anche allora, l’Europa non era un’unica entità e necessariamente non si auto rappresentava come l’unica erede dell’eredità greco-romana. Né si riteneva che il passato greco-romano fosse l’unica fonte della cultura europea del basso medioevo. Le popolazioni che vivevano in Italia lo sapevano bene. Come sapevano bene che la cristianità in Europa delle popolazioni al di là del fiume Reno e del Danubio fu esportata attraverso una crociata di colonizzazione e una conversione forzata di quelle popolazioni nomadi e di agricoltori, sia slave, che baltiche. Le vite, e quelle dei loro antenati “europei”, erano state profondamente modellate dagli sviluppi nel Mediterraneo e dagli scambi mercantili in tutti e tre i continenti o lungo i grandi fiumi che dal Nord e Est Europa raggiungevano la Transcaucasia. La cultura islamica era particolarmente influente in tutta l’Europa.
La stessa conoscenza dell’Africa e della sua storia, come storia di nazioni africane, era introdotta nel basso medioevo e nel periodo del Rinascimento italiano attraverso gli storici del mondo arabo-musulmano di quel tempo. In particolare ne citiamo uno, uno storico, politico ed economista musulmano del Maghreb, Ibn Khaldun. I suoi studi e i suoi lavori nel campo della storia, della geografia, della politica e dell’economia avvengono in un preciso tempo storico caratterizzato dalla crisi e dal lento declino del Califfato di Cordova e del Sultanato di Grenada.
Ben quattro secoli prima di Adam Smith e di Malthus lo studioso maghrebino spiega il rapporto tra la divisione del lavoro e la produttività, tra la crescita della popolazione e la crescita della ricchezza con aumento della domanda di produzione di beni. Egli descrive i motivi per i quali sarebbe meglio la liberalizzazione degli scambi, mentre è contrario alla limitazione dei commerci con l’estero applicando i dazi. A quanto pare Ibn Khaldun potrebbe essere ritenuto uno dei fondatori sia del pensiero economico liberista, così come dell’economia politica classica. I suoi concetti si possono ritrovare trasferiti in Machiavelli, Hobbes, Vico fino ad arrivare a Ricardo e allo stesso Marx. Nella sua principale opera la “Muqaddimah: una introduzione alla storia” vengono articolati dei concetti storici e teorici che risulterebbero ovvi oggi, ma sorprendenti quando ci si accorge che erano stati constatati nella società araba del Nord Africa e del sud della penisola Iberica nel 1300: «.. il lavoro è la vera base del profitto. Quando il lavoro non è apprezzato e viene svolto per nulla, la speranza di guadagno svanisce e non viene svolto alcun lavoro (produttivo). La popolazione sedentaria si disperde e la civiltà decade» (pagina 199). E ancora che «.. Il lavoro umano è necessario per ogni profitto e per l'accumulo di capitale. Quando la fonte del profitto è un lavoro fornito, come (l'esercizio di) un mestiere, questo è ovvio. Quando la fonte di guadagno è costituita da animali, piante o minerali (questo non è così ovvio, ma). Il lavoro umano è ancora necessario, come si può vedere. Senza (lavoro umano), non si otterrà alcun guadagno e non ci sarà alcun (risultato) utile [...]». (ibid, pagina 480).
Avrebbero di che imparare i tanti Lucio Colletti dei nostri giorni che tentano di invalidare la legge del valore, altro che di Marx, ma di Ibn Khaldun del 1300, una vera e propria opera d’arte!
Nuove indagini storiche e archeologiche dimostrano che Copernico, Galileo Galilei, e successivamente Keplero furono toccati dai lavori e studi precedenti di astronomi persiani. Solo che gli europei più del mondo “arabo” e “musulmano” si trovavano nello stato di maggiore necessità a dover intraprendere la via del mare per i commerci. Una via meno costosa, che richiedeva meno risorse da investire, che prometteva minor tempo e che per forza di cose si scontrava con le incongruenze del sistema tolemaico. Altre ricerche e indagini forniranno poi a Shlomo Sand quegli elementi qualificanti per cui l’attuale popolo ebreo di Israele, fondato da coloni europei, non avesse alcun legame storico, culturale, etnico e perfino genetico con gli antichi popoli del Levante e con la terra del Levante, in sostanza che trattasi di un popolo inventato nella storia ancora più recente come forma particolare del colonialismo degli europei in Medio Oriente.
Quando il movimento storico di un modo di produzione temporalmente definito esaurisce il suo sviluppo, l’insieme delle teorie storiche e scientifiche acquisite risultano inefficaci a spiegare il nuovo quadro che si è andato a determinare. L’abbondanza di nuove scoperte storiche e archeologiche che mettono in discussione il “mito della civiltà occidentale” avvengono sotto la spinta di questa crisi. Sempre più emergono quali fattori causali della storia che attraverso gli scambi hanno interconnesso unitariamente il mondo, fabbricato e favorito l’Occidente in un ordine combinato e diseguale.
Oggi quegli stessi fattori determinano l’impossibilità del suo continuo sviluppo illimitato e anche la narrazione del progresso datosi per grazia della “luce” della ragione e dell’Illuminismo. Il moto della crisi sta producendo un caos generale e la vecchia narrazione della storia non corrisponde più alle nuove necessità per l’umanità in rapporto allo spazio finito della natura e si dischiudono nuovi orizzonti. Sicché finisce nel secchio della spazzatura la stessa concezione della storia secondo la lente del libero arbitrio, come atto compiuto dell’Illuminismo, perché non convince più.
Dunque quello che risulta evidente è che il processo della conoscenza è il risultato di necessità che emergono attraverso lo scambio. Beninteso: per chi cerca di intendere!
Ernesto Galli della Loggia, come altri intellettuali e storici anglosassoni e nord americani, sono costretti a correre ai ripari di fronte al mito della civiltà occidentale in caduta libera. Si scagliano contro quella che definiscono la “cancel culture” volta a instillare artificiosamente il senso di colpa da parte della società occidentale “per il suo passato” (?) coloniale. Senza comprendere però che dietro l’etichetta di “cancel culture” si cela il risvolto del tutto. Ovvero che l’insieme dei rapporti sociali che la civiltà occidentale ha classificato come progresso storico, oggi corrispondono sempre meno allo sviluppo dei bisogni umani fondamentali in armonia con la natura e muovono verso la catastrofe.
Questa è una percezione ben presente in larghi strati delle nuove generazioni nei paesi del Nord globale più sviluppato dove più si concentra l’effetto delle relazioni sociali con le generazioni dei popoli sfruttati e colonizzati. Si forma all’interno di questa relazione una ibridazione con il punto di vista dei “non bianchi” razzializzati dalla storia. Che diviene improvvisamente necessaria contestualmente alle nuove rivolte dei “colorati”, come in questi mesi peri palestinesi.
Agli occhi di queste nuove generazioni la narrazione della storia ereditata secondo la visione dell’Illuminismo appare una merce sempre più sbiadita, insapore se non tossica. Gli storici liberali, fra i quali Galli della Loggia tentano di ridare freschezza a una concezione della storia che scricchiola arrampicandosi sugli specchi. Abbiate pietà di loro, avrebbe detto il Cristo.
Consapevoli dei limiti delle nostre conoscenze, incomparabili con l’armamentario del pensiero liberale accumulato in secoli di violenza, non possiamo però evitare di constatare come i fatti continuano a dimostrare che lo storico liberista non può far altro che continuare a leggere la storia attraverso le lenti distorte del libero arbitrio, arenandosi nell’incertezza e nell’ignoranza.
Nondimeno siamo chiamati a denunciare in maniera radicale e rivoluzionaria il ruolo che lo storico svolge. Un ruolo, in questo caso, che porta per esempio Ernesto Galli della Loggia a ritenere irrazionale il legame che i palestinesi continuano ad avere con la terra di Gaza dove risiedono, nonostante le condizioni di invivibilità causate dal genocidio portato avanti dallo Stato sionista di Israele e dall’Occidente. Per loro si tratterebbe di una anomalia di fronte ai lumi della ragione, una spiegazione che di fatto prepara la giustificazione storica dell’ennesimo genocidio che gli occidentali stanno compiendo a questo punto per la loro sopravvivenza. Non basterà l’inesauribile ferocia di cui l’Occidente ancora dispone a renderla convincente proprio per l’esaurirsi dei fattori di sviluppo di un modo di produzione che si avvia al suo tramonto.
* Alessio Galluppi, Michele Castaldo
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PERPLEXITY
Presentazione del saggio
Il saggio "La conoscenza della storia, l’Occidente e il libero arbitrio" di Algamica affronta il tema della costruzione storica dell'idea di civiltà occidentale e del ruolo del libero arbitrio nella storiografia. L'autore critica le concezioni eurocentriche che attribuiscono all'Occidente una superiorità intrinseca, derivata da virtù proprie e da un presunto progresso lineare. Il testo analizza come la storia sia influenzata da fattori materiali e impersonali, piuttosto che dalla volontà individuale o collettiva. Inoltre, il saggio esplora il rapporto tra ideologia, produzione economica e la diffusione delle idee, contestando la narrazione tradizionale che celebra l'Occidente come motore unico del progresso globale.
Sintesi schematica
1. Critica al libero arbitrio come motore della storia
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La coscienza e il libero arbitrio sono prodotti di processi materiali e storici.
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Il libero arbitrio non guida la storia, ma è un costrutto funzionale a determinati rapporti di produzione.
2. Eurocentrismo e narrazione occidentale
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L'Occidente ha costruito una narrazione che giustifica la sua supremazia attraverso il mito del progresso illuminista.
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La civiltà occidentale è rappresentata come unica erede delle tradizioni greco-romane, ignorando i contributi di altre culture (es. islamica, africana).
3. Ruolo delle leggi impersonali
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La storia si sviluppa attraverso leggi impersonali legate ai rapporti economici e sociali.
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Le idee circolano come merci nel mercato globale, influenzate dal sistema capitalistico.
4. Contributi di altre civiltà
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Ibn Khaldun (storico arabo) anticipò concetti economici attribuiti a pensatori occidentali come Adam Smith.
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Scoperte scientifiche europee (es. Copernico, Galileo) furono influenzate da studi persiani.
5. Decostruzione del mito occidentale
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La civiltà occidentale non si è sviluppata isolatamente, ma grazie agli scambi con altre culture.
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Nuove scoperte archeologiche e storiche mettono in discussione l'idea di un progresso lineare e autonomo dell'Occidente.
6. Colonialismo e razzismo
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La narrazione occidentale ha giustificato il colonialismo e il razzismo sistemico.
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Movimenti anticoloniali hanno contestato l'eurocentrismo nella storiografia.
7. Crisi del modello occidentale
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L'attuale crisi del capitalismo evidenzia i limiti della narrazione storica tradizionale.
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È necessario ripensare la storia in modo più inclusivo e interconnesso.
Conclusione
Il saggio invita a superare le visioni eurocentriche della storia, riconoscendo l'interdipendenza globale delle civiltà e il ruolo dei fattori materiali nel determinare i processi storici. Sottolinea l'importanza di una storiografia critica che decostruisca i miti dell'Occidente e valorizzi i contributi delle altre culture.
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DEEPAI
Presentazione e Sintesi del Testo "La conoscenza della storia, l’Occidente e il libero arbitrio" di Algamica
Introduzione:
Il saggio discute l'interpretazione della storia e del progresso umano alla luce delle teorie marxiste e delle critiche al liberalismo. Gli autori contestano l'idea che la storia sia guidata dal libero arbitrio degli individui, sostenendo invece che sia il contesto storico e le strutture materiali a determinare gli eventi.
Punti Chiave:
Coscienza e Materialismo:
- La coscienza delle persone deriva dalle condizioni materiali e dal loro rapporto con la produzione.
- Contestano la visione liberista che attribuisce il progresso alla volontà e alla razionalità degli individui.
Critica all'Occidente:
- L'Occidente viene accusato di saccheggiare e opprimere altre culture, eppure rivendica il progresso globale come risultato delle sue azioni.
- La concezione illuminista, che pone l’Occidente come faro del progresso, è vista come un costrutto sociale.
Libero Arbitrio vs. Determinismo:
- Ritenere il libero arbitrio come motore della storia è un errore; le idee nascono da necessità materiali storiche.
- I periodi di crisi storica portano a nuove domande e necessità che sono al di fuori del controllo individuale.
Ruolo dello Storico:
- Gli storici che sostengono la narrativa liberista non riescono a capire che le loro analisi sono influenzate da fattori storici e sociali.
- Si evidenzia l'importanza di una revisione critica della storia, considerando anche le prospettive non occidentali.
Critica agli Intellettuali Liberali:
- Intellettuali come Ernesto Galli della Loggia e Rampini difendono il mito dell'Occidente mentre ignorano le violazioni storiche.
- Queste posizioni sono percepite come insufficienti in un contesto di crescente consapevolezza delle conseguenze del colonialismo.
Nuove Visioni e Critiche:
- La riscoperta di opere storiche non occidentali e nuovi studi suggeriscono che da sempre la civiltà è il risultato di scambi globali e influenze reciproche.
- L'importanza di storici come Ibn Khaldun viene sottolineata per la loro anticipazione dei principi economici e politici.
Crisi della Narrazione Occidentale:
- La crisi dell'attuale modo di produzione mette in discussione la narrativa storica dell'Illuminismo.
- Emergono nuove esigenze rispetto alla storia che richiedono una riflessione profonda e una revisione delle idee tradizionali.
Rivolte e Shock Culturale:
- Le storie di altri popoli, come gli afroamericani e le varie popolazioni coloniali, pongono interrogativi sulla superiorità occidentale.
- La sconfitta della Russia da parte del Giappone nel 1905 è vista come un momento di risveglio per i popoli colonizzati.
Conclusione:
Il testo conclude affermando che il libero arbitrio non può essere considerato come l'unica forza motrice della storia. In un mondo interconnesso, è fondamentale riconoscere come storie e ideologie evolvano in risposta a fattori materiali e storici più ampi. La narrativa occidentale, vista come un mito, è in crisi e deve essere rivalutata alla luce delle nuove scoperte e delle prospettive globali.
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