Oro e titoli di Stato: l’America di Trump non è più un porto sicuro ABSTRACT

 



Oro e titoli di Stato: l’America di Trump non è più un porto sicuro
Il Manifesto 20-4-25 Luigi Pandolfi

Global economy Fa un certo effetto apprendere che Bank of England vorrebbe rimpatriare il 30% delle sue riserve depositate presso la Fed di New York. Ma non è né il primo né il solo caso

Che gli Stati Uniti, dopo il caos scatenato da Trump con i dazi, non siano considerati più come il Paese economicamente più sicuro al mondo, lo dimostrano due cose accadute recentemente: l’idea di alcune nazioni di riportare a casa una parte dell’oro che hanno nei caveaux della Federal Reserve, e fors’anche dell’impenetrabile Fort Knox, e la fuga dai Treasury Bond, a favore di altre obbligazioni sovrane.

A proposito dell’oro, fa un certo effetto apprendere che Bank of England vorrebbe rimpatriare il 30% delle sue riserve depositate presso la Fed di New York. Ma non è né il primo né il solo caso. Anche la Germania, nei giorni scorsi, ha fatto sapere che starebbe valutando l’ipotesi di riprendersi i lingotti che tiene nei sotterranei di Manhattan (1.200 tonnellate). Pesano i timori sulla stabilità politica del Paese ospitante. Il che è un bel paradosso, vista la postura degli Stati Uniti nel mondo.

Anche Fort Knox, sede del «United States Bullion Depository», sembrerebbe, comunque, che sia finito nel mirino di alcuni Stati. Ufficialmente, in questa base militare del Kentucky, dovrebbe starci solo una parte dell’oro americano, che in totale fa 8133 tonnellate in lingotti da 400 once troy (circa 12,4 kg ciascuno). Ma la verità è un’altra. Nella struttura sorvegliata dall’esercito federale, con mura in cemento armato e granito, c’è oro di tanti altri Paesi, perché finora gli States sono stati considerati uno dei luoghi più stabili al mondo dal punto di vista politico ed economico, quindi il posto più sicuro per conservare tesori di queste dimensioni. Di converso, c’è da dire anche che proprio il fatto di ospitare una parte delle riserve auree di altri Paesi ha rafforzato la posizione di Washington come hub finanziario globale e mantenuta alta la fiducia nel dollaro. Uno dei tanti privilegi concessi all’impero, come quello di spendere e consumare più di quanto si è in grado di produrre.

Di recente, tuttavia, alcune dichiarazioni di Trump e di Musk hanno rilanciato i dubbi sull’effettiva consistenza di questi depositi (4.582 tonnellate, stando ai numeri ufficiali), in linea con certe tesi complottiste che parlano di vendite segrete o addirittura di lingotti falsi. «Andrò a Fort Knox con Musk, vogliamo vedere se l’oro è ancora lì», aveva detto The Donald alla conferenza dei conservatori svoltasi a Washington lo scorso mese di febbraio, cui era intervenuta in videocollegamento anche Giorgia Meloni. Parole che hanno indispettito i depositanti e giocato a sfavore della credibilità del Paese.

L’Italia conserva circa il 43,29% delle sue riserve auree presso questa base, per un totale di ben di 1.061,5 tonnellate (141,2 sono a Londra, 149,3 a Berna, il resto a Roma). Ma il Belpaese non è un problema, in questo momento. Con la Meloni a Palazzo Chigi Trump può dormire sonni tranquilli. Diverso è il discorso per altri Paesi, a cominciare da quelli che maggiormente sono in competizione con Washington, come la Cina, che già da qualche anno ha iniziato un’operazione di rimpatrio dei suoi valori dagli Usa, nell’ambito di una strategia di lungo periodo mirante alla de-dollarizzazione del commercio mondiale. Una strategia in cui è compresa anche la dismissione di titoli del debito a stelle strisce. Il secondo corno della questione.

La folle e pasticciata guerra commerciale innescata dal tycoon sta avendo tra le sue vittime anche i T-Bond. C’è il calcolo di chi vuole insidiare il primato del dollaro, ma anche ragioni più pratiche, come l’inopportunità di investire nel debito di un Paese in guerra col resto del mondo. Il primo risultato dell’operazione dazi, infatti, è stato un aumento dei rendimenti di queste obbligazioni. Significa che il governo americano deve remunerare maggiormente il rischio che si assume chi investe. Se gli interessi rimarranno alti, però, a pagarne le conseguenze sarà il bilancio federale, già minacciato da una crisi incombente.

Oltre all’oro, bene rifugio per eccellenza che si mantiene intorno ai 3 mila dollari l’oncia (c’è chi pronostica un balzo fino a 4 mila dollari), sono i titoli di Stato tedeschi che stanno drenando capitali dagli Usa. Il motivo non è solo la proverbiale stabilità finanziaria di Berlino. C’entra pure la corsa al riarmo. La Germania potrebbe diventare il Bengodi degli investimenti sicuri e redditizi, trainati dalla spesa militare. Armi e finanza, di nuovo a braccetto. Per questo Trump, col suo consigliere Stephen Miran, hanno pensato ai Matusalem Bond. Dazi come arma di ricatto non solo per far comprare armi e gas ai partner commerciali, soprattutto europei (come la servile visita della Meloni alla Casa Bianca ha dimostrato), ma anche per imporre la sottoscrizione di obbligazioni quasi perpetue, necessarie a mantenere in vita il sistema parassitario Usa, basato sulla supremazia del biglietto verde.

CHATGPT

Presentazione

Nell’articolo "Oro e titoli di Stato: l’America di Trump non è più un porto sicuro" pubblicato su Il Manifesto il 20 aprile 2025, Luigi Pandolfi analizza il crescente scetticismo internazionale verso la sicurezza economica e finanziaria degli Stati Uniti. Il sintomo principale di questa sfiducia è il progressivo rimpatrio dell’oro da parte di vari Paesi e il disimpegno dai titoli del Tesoro USA. Il fenomeno, che colpisce il cuore della fiducia globale nel dollaro e nella stabilità americana, è legato in particolare all’instabilità politica acuita dal ritorno sulla scena di Donald Trump e dalle sue esternazioni, oltre che alle tensioni geopolitiche e alle strategie protezionistiche messe in atto dagli USA. Tra le alternative emergenti, Pandolfi segnala la Germania come nuovo polo di attrazione finanziaria, in un contesto dove la corsa al riarmo si intreccia sempre più con le dinamiche del capitale.


Scheda Analitica

Titolo: Oro e titoli di Stato: l’America di Trump non è più un porto sicuro
Autore: Luigi Pandolfi
Testata: Il Manifesto
Data: 20 aprile 2025


1. Tesi centrale

Gli Stati Uniti stanno perdendo il loro status di "porto sicuro" per le riserve auree e gli investimenti finanziari a causa della crescente instabilità politica, della gestione caotica della politica commerciale (dazi) e delle dichiarazioni ambigue di Trump, che minano la fiducia nei confronti del sistema finanziario americano.


2. Argomenti chiave

  • Rimpatrio dell’oro:

    • Bank of England vuole riportare in patria il 30% delle riserve auree conservate alla Fed di New York.

    • Anche la Germania valuta la possibilità di rimpatriare 1.200 tonnellate custodite a Manhattan.

    • Trump stesso ha sollevato dubbi sulla presenza effettiva dell’oro a Fort Knox, alimentando sospetti e diffidenza.

  • Fuga dai Treasury Bond (T-Bond):

    • La Cina e altri Paesi stanno dismettendo i titoli del debito USA.

    • L’aumento dei rendimenti richiesti per investire nei T-Bond è sintomo della crescente percezione di rischio.

  • Germania come alternativa:

    • L’afflusso di capitali verso i titoli tedeschi è legato sia alla solidità economica sia alla crescente spesa militare tedesca.

    • La ri-militarizzazione tedesca si configura come motore di investimento sicuro, sostenuto dalla finanza globale.

  • Dollaro e dominio:

    • Gli USA hanno goduto finora del privilegio di emettere la valuta di riserva globale.

    • Il sistema americano è descritto come “parassitario”, fondato su un indebitamento sistemico sostenuto dall’egemonia del dollaro.


3. Concetti chiave

  • De-dollarizzazione: strategia in atto da parte di diversi Paesi (Cina in primis) per ridurre la dipendenza dal dollaro USA.

  • Methuselah Bonds: proposta di obbligazioni quasi perpetue per finanziare lo stato americano, legate anche alla strategia militare.

  • Finanza e armi: l’articolo evidenzia il nesso crescente tra sicurezza militare e attrattività finanziaria.


4. Tono e posizione dell’autore

Critico nei confronti della politica statunitense, Pandolfi mette in discussione la legittimità del ruolo globale degli USA, mettendo in luce le contraddizioni e i paradossi del sistema. Esplicita anche un giudizio negativo sulla subalternità europea, in particolare del governo Meloni.


5. Collegamenti tematici

  • Paralleli con il paradosso di Triffin (la difficoltà di sostenere un’economia nazionale egemone senza squilibri strutturali).

  • Riflessione sul potere simbolico e geopolitico delle riserve auree.

  • Sviluppi nella multipolarità finanziaria e crisi dell’unipolarismo economico USA.

  • Ruolo della credibilità politica nella gestione della fiducia monetaria e finanziaria.


Commenti

Post popolari in questo blog

SACHS ALLA UE

CAPITALISMI GLOBALI

Svolte a destra La Lettura 2-2-25