Bye bye, Occidente… Il futuro energetico passa altrove

 

Bye bye, Occidente… Il futuro energetico passa altrove

di Claudio Conti

https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/30558-claudio-conti-bye-bye-occidente-il-futuro-energetico-passa-altrove.html

Sta succedendo qualcosa di enorme, ma si continua a cianciare come se tutto scorresse sempre uguale. Neanche le guerre e i genocidi emergono più come momenti rilevanti del presente. Son considerati “normali”, magari disdicevoli e di cattivo gusto, ma in fondo “un lavoro sporco che qualcuno deve pur fare”.

Una ottusità generale gravissima, che impedisce persino di vedere e quindi concettualizzare i passaggi decisivi della Storia. En passant, si è smesso – qui nell’Occidente neoliberista – di parlare della transizione energetica, e soprattutto dei giganteschi piani di riconversione industriale che sarebbero dovuti partire per realizzarla praticamente.

Persino le decisioni che sembravano già prese in via definitiva – come il divieto di immatricolazione per le auto diesel e benzina a partire dal 2035, nell’Unione Europea – sono tornate nel cono d’ombra del “vedremo”. Anche se è chiarissimo che, per cambiare radicalmente la produzione automobilistica del Vecchio Continente, quella data è già fin troppo vicina. Se non si parte ora, non si arriverà mai in tempo. E quindi si rinuncerà a quel pur minimo obiettivo…

Negli Stati Uniti in versione Trump la parola d’ordine è stata “drill, drill, drill”, un incitamento operativo a lasciar perdere la corsa all’energia pulita e concentrarsi invece sui giacimenti (residui) di petrolio e gas. Anche se negli Usa si estrae ormai quasi soltanto dai giacimenti di scisto o dalle sabbie bituminose, a costi altissimi – sia economici che ambientali – tanto che se il prezzo del barile scende sotto i 60 dollari si produce in perdita.

Al contrario la Cina sta guidando la nuova rivoluzione industriale – incentrata sulla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili – sfornando brevetti, modelli automobilistici, centrali nucleari al torio, infrastrutture che fanno impallidire quanto è stato fatto nel mondo nello scorso secolo.

La competizione tra Occidente imperialista e Cina sta diventando così una competizione asimmetrica in cui il vecchio impero si arrocca nel modello industriale ormai arretrato e lascia che il resto del mondo – che già non è fatto più di popoli coloniali con archi e frecce – si getti sulla strada del futuro.

Qualche dubbio sul fatto che sia una strategia intelligente comincia a venire anche ai maggiorenti Usa, e se ne è trovata traccia nel dibattito del Congresso sul “mega-progetto” smoker di Trump, che richiede comunque investimenti molto consistenti proprio mentre ci si affanna a tagliare la spesa pubblica in ogni suo capitolo, persino militare.

Gli stessi repubblicani risultano in qualche misura divisi, con un fronte che vuole gli Stati Uniti in grado di competere con Pechino nella corsa per dominare le tecnologie energetiche del futuro — dai pannelli solari e turbine eoliche alle batterie e alle auto elettriche.

L’altro schieramento invece sostiene che la Cina abbia già vinto questa corsa, e che partecipare a questo gioco significherebbe condannare gli USA alla sconfitta. Dunque bisognerebbe concentrarsi sulle fonti energetiche in cui sono già leader: petrolio, gas naturale e carbone.

Al centro dello scontro sono finite così le centinaia di miliardi di dollari in incentivi fiscali per l’energia pulita introdotte da Biden, che ora si vorrebbero cancellare quasi integralmente. I funzionari di Trump sostengono infatti che finanziare la tecnologia verde favorisca la Cina, che domina vaste porzioni delle catene di approvvigionamento globali per batterie, veicoli elettrici, energia solare ed eolica.

Ma non si tratta più solo di componenti o di brevetti. Anche i “prodotti finiti” segnano ormai un sorpasso che appare irreversibile. Negli ultimi mesi, ad esempio, due aziende cinesi fra loro concorrenti — BYD e CATL — hanno presentato batterie per veicoli elettrici in grado di percorrere 400 o persino 500 km con una ricarica di cinque minuti. E già vengono annunciate quelle in grado di far percorrere circa 1.000 con tempi di ricarica simili.

Tesla, per dire, offre al massimo 320 km per poi star fermi almeno 15 minuti.

Gli osservatori economici più attenti stanno già mettendo in guardia circa la possibilità che, se si affermerà definitivamente il “sistema Trump”, si verifichi una clamorosa “fuga del konw how” dall’America verso la Cina. Se le nuove tecnologie energetiche si sviluppano laggiù, allora anche “i cervelli” seguiranno la stessa strada. Lasciando gli Usa – e anche l’Unione Europea, visibilmente con una guida miserabile – a corto sia di settori industriali avanzati che di “intelligenza” adeguata a farli funzionare.

Ma non si tratta di una contrapposizione tra “culture”. Si stanno misurando due diversi – e per molti versi opposti – modelli economici. Quello occidentale, sotto l’egemonia ormai quarantennale del neoliberismo, ha lasciato ai “privati” il compito di decidere sul tipo di sviluppo industriale da privilegiare.

Il “pubblico” – è stato persino teorizzato – si sarebbe dovuto limitare a creare le migliori condizioni perché il capitale privato potesse liberare i suoi “spiriti animali”, creando uno sviluppo esplosivo che poi avrebbe “sgocciolato” molliche di benessere anche verso gli strati poveri della società.

Non è notoriamente accaduto nulla di tutto ciò. “I privati” hanno pensato ad arraffare il massimo profitto possibile, riducendo al minimo l’innovazione e la ricerca (e i costi relativi), rifugiandosi poi nel mercati finanziari alla ricerca di plusvalenze ancora più veloci (con un click) e senza la noia di dover gestire (e retribuire) frotte di dipendenti.

La Cina – con un modello di “economia mista” con qualche somiglianza con quella italiana ed europea degli anni ‘60 – ha al contrario sposato la classica programmazione/pianificazione di origine socialista con una “libertà di impresa” profondamente limitata alle “politiche di piano”. E lo “sgocciolamento” è stato orientato in modo talmente forte da eliminare la povertà sul serio, non come da un balcone di Palazzo Chigi…

Per quanto riguarda la transizione energetica, per esempio, non ha seguito affatto la via occidentale (incentivi pubblici per le imprese che facevano propri alcuni limitati obiettivi, magari falsificando anche i risultati come ha dimostrato il “diesel-gate” di Volkswagen), ma ha sviluppato la ricerca pubblica e “invitato” quella privata a cooperare per massimizzare i risultati. In un modello economico in cui i profitti privati venivano e vengono in gran parte reinvestiti nel processo produttivo, anziché tesaurizzati in consumi di lusso o finanza speculativa.

I risultati oggi cominciano a diventare evidenti, come ha ben spiegato addirittura il Financial Times: “Il solare batte l’LNG in termini di costo, ed è un vantaggio per il clima. In pratica, ogni dollaro speso per importare pannelli solari equivale a un risparmio annuale di un dollaro in importazioni di gas, generando la stessa quantità di elettricità.”

Scegliere il “modello smokers” è un suicidio. Che illumina lo stato cognitivo dell’Occidente neoliberista e anticipa la sua fine.

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Ecco la scheda sintetica informativa, la sintesi del contenuto e una rielaborazione critica dell’articolo Bye bye, Occidente… Il futuro energetico passa altrove di Claudio Conti.


📌 Scheda informativa

  • Titolo: Bye bye, Occidente… Il futuro energetico passa altrove

  • Autore: Claudio Conti

  • Fonte: Il Fatto Quotidiano, maggio 2025 (presunto)

  • Tema centrale: Il confronto asimmetrico tra il declino energetico-industriale dell’Occidente neoliberista e l’avanzata della Cina nel campo dell’energia rinnovabile e dell’innovazione tecnologica, come sintomo di una transizione sistemica globale.

  • Parole chiave: transizione energetica, Cina, Stati Uniti, neoliberismo, energia pulita, modello economico, know-how, BYD, CATL, batterie elettriche, economia mista.


📄 Sintesi del contenuto

Claudio Conti denuncia l’apatia dell’Occidente di fronte ai profondi cambiamenti geopolitici e industriali in corso, in particolare nel campo della transizione energetica. L’Unione Europea sembra aver abbandonato ogni slancio nella riconversione ecologica, mentre negli Stati Uniti – specie nella corrente trumpiana – si punta ancora sul fossile con lo slogan “drill, drill, drill”, nonostante l’elevato costo ambientale ed economico.

A fronte di questo stallo, la Cina ha già avviato una nuova rivoluzione industriale centrata su energie rinnovabili, tecnologia avanzata e un modello di economia mista guidato dalla pianificazione pubblica. Aziende come BYD e CATL stanno superando Tesla nello sviluppo di batterie elettriche a ricarica ultra-rapida, mentre Pechino conquista la supremazia in settori chiave come pannelli solari, turbine eoliche, auto elettriche e infrastrutture verdi.

Conti contrappone i due modelli economici: quello occidentale, neoliberista e privatistico, che ha affidato lo sviluppo agli “spiriti animali” del mercato, e quello cinese, che mantiene un ruolo strategico dello Stato e orienta il capitale privato secondo obiettivi collettivi. Secondo l’autore, questo secondo modello si rivela più efficace nel promuovere innovazione, redistribuzione e sostenibilità.


🧠 Elaborazione critica e riflessione

L’articolo di Claudio Conti presenta un atto d’accusa forte e articolato contro l’inerzia strategica dell’Occidente, indicando nel neoliberismo non solo una causa di stagnazione economica, ma un limite cognitivo e sistemico. L’autore coglie con lucidità un punto centrale: la crisi ambientale ed energetica non è solo un problema tecnico, ma un banco di prova ideologico e di civiltà.

Nel confronto tra Occidente e Cina, Conti evidenzia come il successo tecnologico cinese derivi da una governance economica che unisce programmazione statale e iniziativa privata in un quadro di subordinazione strategica al bene collettivo. L’analisi si inserisce in una corrente di pensiero che rivaluta il ruolo dello Stato nell’economia e vede nella transizione energetica una sfida geopolitica più che meramente ecologica.

Il richiamo alla “fuga del know-how” è particolarmente incisivo: la perdita di attrattività dell’Occidente per scienziati, ingegneri e innovatori rischia di accelerare un declino sistemico, mentre la Cina si consolida come nuovo baricentro industriale e tecnologico globale.

Conti individua nell’“ideologia smokers” – basata sulla difesa delle fonti fossili, dei profitti immediati e di una deregulation suicida – il sintomo del tramonto di un modello che, da promessa universale di benessere, è diventato ostacolo alla sopravvivenza del pianeta e alla giustizia sociale.

In definitiva, l’articolo richiama a una presa di coscienza: non stiamo solo perdendo una “gara energetica”, ma una battaglia per il futuro stesso della modernità. La Cina, con tutte le sue contraddizioni, ha colto l’attimo. L’Occidente sembra incapace di scegliere se reinventarsi o sprofondare.


Se vuoi, posso ora coordinare questa analisi con quella precedente sull’articolo di Moira Weigel (La Cina ringrazia il compagno Trump) e su quello di De Angelis (Dollari, dazi e dominio), creando una sintesi comparativa coerente. Vuoi procedere in questo modo?

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Ecco il report in tre parti sull’articolo Bye bye, Occidente… Il futuro energetico passa altrove di Claudio Conti.


1. Scheda informativa sintetica

  • Titolo: Bye bye, Occidente… Il futuro energetico passa altrove

  • Autore: Claudio Conti

  • Fonte: il manifesto, pubblicato il 20 maggio 2024

  • Tema centrale: L’Occidente neoliberale è in stallo rispetto alla transizione energetica, mentre la Cina guida una nuova rivoluzione industriale fondata su energie rinnovabili, innovazione e pianificazione pubblica.

  • Tag principali: transizione energetica, competizione globale, Cina, Stati Uniti, economia mista, neoliberismo, tecnologia verde.


2. Sintesi analitica

L’articolo di Claudio Conti denuncia la stagnazione cognitiva e operativa dell’Occidente neoliberista rispetto alle sfide epocali della transizione energetica e della riconversione industriale. L’autore sottolinea come decisioni strategiche già assunte, come lo stop ai motori endotermici entro il 2035, stiano venendo messe in discussione o rinviate, mentre le grandi potenze imperiali, soprattutto gli Stati Uniti nella versione “smoker” trumpiana, insistono su un modello fossile, costoso e arretrato.

Al contrario, la Cina rappresenta oggi il polo trainante della nuova rivoluzione industriale, grazie a un modello di economia mista in cui lo Stato guida e coordina l’innovazione, impone vincoli al capitale privato e reinveste i profitti produttivi nello sviluppo interno. Il successo cinese è visibile nella corsa tecnologica (es. batterie EV di nuova generazione) e nella strategia pubblica di pianificazione e investimento.

L’autore critica severamente l’ideologia occidentale dell’“incentivo al privato” come motore della transizione, ritenendola fallimentare e subordinata a interessi finanziari e speculativi. Mentre gli USA e l’UE si impantanano tra austerità, tagli e miopie politiche, il futuro energetico e industriale sembra spostarsi irreversibilmente verso l’Asia. Un paradosso che, secondo Conti, segna l'inizio della decadenza dell’Occidente neoliberale.


3. Elaborazione critica

L’articolo di Conti si inserisce nel crescente filone critico che interpreta il declino dell’egemonia occidentale non solo come crisi politica o militare, ma soprattutto come impasse sistemica del modello neoliberista. Il cuore dell’argomentazione è che l’Occidente abbia rinunciato a governare la propria evoluzione produttiva, delegandola al capitale privato che, guidato da logiche estrattive e speculative, si è rivelato inadatto a promuovere innovazione strutturale.

Al contrario, la Cina avrebbe dimostrato che una combinazione tra pianificazione socialista e mercato guidato può generare un modello competitivo, inclusivo e sostenibile. Il tema non è la “cultura” ma l’architettura istituzionale: da una parte il laissez-faire inefficace e regressivo dell’Occidente, dall’altra una governance attiva della trasformazione produttiva.

L’analisi di Conti coglie un punto centrale nel dibattito globale: la transizione ecologica non è neutrale, è un campo di battaglia geoeconomico e politico. Chi la guida, ne determinerà le regole. In questo senso, l’apparente arretramento statunitense (tra lobby fossili e strategie di corto respiro) rischia di marginalizzare l’Occidente sia industrialmente che tecnologicamente. Una fuga di cervelli, capitale e know-how potrebbe accentuare il gap. In definitiva, il pezzo invita a riflettere sulla necessità urgente di un ripensamento del ruolo dello Stato, non solo nella gestione economica, ma nella direzione strategica dello sviluppo.


Fammi sapere se vuoi integrare riferimenti teorici o confronti con altri articoli già discussi.

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