Il comunismo non consiste nella proprietà statale dei mezzi di produzione
Il comunismo non consiste nella proprietà statale dei mezzi di produzione
Critica dello stalinismo
di Luigi Ficarra
● Lenin considerava le strutture del capitalismo monopolistico di stato come “l’anticamera del socialismo”. Ne parla in particolare nel saggio del 1916 su ’L’Imperialismo, fase suprema del capitalismo”. Dove dice che quest’ultimo ha raggiunto una grande razionalizzazione e socializzazione del sistema produttivo. E’ si ‘putrescente’, con i rentiers che vivono ‘tagliando cedole’, ma l’efficienza del sistema produttivo, afferma Lenin, è esaltata dall’intrecciarsi delle sue strutture con le funzioni dello Stato moderno, in cui l’espansione produttiva e della produttività procederebbe, a suo avviso, di pari passo con una ‘’socializzazione’’ del lavoro sempre più ampia. E’ in questi processi, ripeto, che Lenin vede la crescita di potenzialità socialiste all’interno del sistema capitalistico. Egli esprime questi pensieri in un altro testo poco conosciuto, ‘I bolscevichi conserveranno il potere statale?’, scritto verso la fine di settembre del ’17, alla vigilia della rivoluzione di ottobre, dicendo:
“Oltre all’apparato essenzialmente ‘oppressivo’ ….. esiste nello Stato moderno un apparato, legato in modo particolarmente saldo alle banche ed ai trust, che svolge un vasto lavoro di statistica e di registrazione. Non è necessario spezzare questo apparato e non si deve spezzarlo. Bisogna strapparlo al dominio dei capitalisti, staccare …. da esso i capitalisti ….., …. ‘sottoporlo’ ai soviet proletari, farne una cosa di tutto il popolo. ….. Basandosi sulle conquiste già compiute dal capitalismo .. la rivoluzione proletaria sarà in grado di raggiungere il proprio scopo”; --- “Senza le grandi banche il socialismo sarebbe irrealizzabile …., il nostro compito consiste nel tagliere da questo magnifico apparato ‘ciò che gli dà un carattere capitalistico’, possiamo prenderl0 e metterlo in movimento con un decreto ”.
In sostanza Lenin riteneva che per togliere, eliminare il carattere capitalistico all’apparato economico esistente era sufficiente togliere la direzione ai capitalisti e sostituirli con una direzione proletaria. Riteneva, erroneamente come più avanti rilevo, che detto apparato avesse caratteristiche ‘neutrali’; e che la suddetta sostituzione ben poteva avvenire ancor prima della abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, e dell’abolizione del sistema del lavoro salariato.
● Dalla suddetta teorizzazione di Lenin discende l’affermazione di Stalin che nell’economia dell’Urss vi erano rapporti di produzione socialisti solo per il fatto della direzione e della proprietà statale. Ricordo qui, come un significativo aneddoto, il fatto storico che il filosofo e storico francese Henri Lefebvre fu allontanato dal PCF nel 1958 anche per aver criticato il fatto che esso aveva come programma la sostituzione con compagni comunisti della borghesia (giudicata anarchica e incapace di pianificazione) nella direzione dell’apparato produttivo esistente.
● L’errore di Lenin consisteva nel non considerare che l’apparato capitalistico, la cui direzione diceva era solo sufficiente sostituire con una direzione proletaria, era, come ha evidenziato lo storico Ulf Wolter in “Origini dello stalinismo”, “il prodotto di determinati rapporti sociali che, a sua volta, riproduce continuamente, questa riproduzione essendo la condizione stessa della sua esistenza. In questo senso (quindi), quell’apparato non è puramente tecnico, non è neutrale, facendo parte di rapporti di produzione e rapporti sociali al suo interno di una struttura di classe, scandita dall’alto al basso da rigide gerarchie”. Che sono espressione del vecchio apparato gerarchico, della vecchia divisione del lavoro, della vecchia ideologia. I rapporti fra gli uomini e i valori su cui essi si fondano vengono cioè riprodotti dal vecchio apparato capitalistico non modificato in quello ‘apparentemente nuovo’ soggetto alla direzione del potere proletario.
● Marx nel suo scritto fondamentale “La critica del programma di Gotha” scrive:
"Il Partito operaio tedesco, per spianare la via alla soluzione della questione sociale, chiede l'istituzione di cooperative di produzione con l'aiuto dello Stato, sotto il controllo democratico del popolo lavoratore. Le cooperative di produzione si debbono creare, per l'industria e per l'agricoltura, in tali proporzioni, che da esse sorga l'organizzazione socialista del lavoro complessivo." – “…… In luogo della esistente lotta di classe, subentra una frase da giornalista: "la questione sociale" alla cui "soluzione" si "spiana la via." Invece che da un processo di trasformazione rivoluzionaria della società l'"organizzazione socialista del lavoro complessivo" "sorge" dall'"aiuto dello Stato," che lo Stato dà a cooperative di produzione, che esso, e non l'operaio, "crea." Che si possa costruire con l'aiuto dello Stato una nuova società, come si costruisce una nuova ferrovia, è degno dell'immaginazione di Lassalle”.
Critica, questa di Marx, che va diretta nei confronti di chi afferma che l’economia di un paese abbia rapporti di produzione socialisti solo per il fatto della direzione e della proprietà dello Stato dei mezzi di produzione.
● Marx, sempre ne “La critica del programma di Gotha”, dopo aver scritto che “si è fatto strada nel nostro partito il criterio scientifico che il salario non è ciò che sembra essere, cioè il valore e rispettivamente il prezzo del lavoro, ma solo una forma mascherata del valore (essendo solo il) prezzo della forza-lavoro”; che “si è messo in chiaro che l'operaio salariato ha il permesso di lavorare per la sua propria vita, cioè di vivere, solo in quanto lavora, per un certo tempo, gratuitamente …..”; che “tutto il sistema di produzione ….. si aggira attorno al problema di prolungare questo lavoro gratuito prolungando la giornata di lavoro o sviluppando la produttività cioè con una maggiore tensione della forza-lavoro, ecc.”; dice: “il sistema del lavoro salariato è un sistema di schiavitù, e di una schiavitù che diventa sempre più dura nella misura in cui si sviluppano le forze produttive sociali del lavoro, tanto se l'operaio è pagato meglio, quanto se è pagato peggio”.
- Invece in Lenin e nella III Internazionale e quindi in tutti i partii comunisti, Pci ovviamente compreso, fu dominante la concezione opposta che vedeva il percorso verso il socialismo reso più libero dall’indefinita crescita della produttività che veniva aumentata sotto la direzione statale dei mezzi di produzione.
● Marco Revelli nella postfazione al libro di Paolo Ferrero, “Raniero Panzieri. L'iniziatore dell'altra sinistra”, scrive che:
«il saggio (di Panzieri)“Sull’uso capitalistico delle macchine”, pubblicato sul numero uno di Quaderni rossi nel 1961, rappresentò una breccia nel muro ancora compatto del produttivismo e dello «sviluppismo» dominanti (nella) cultura (togliattiana di quell’epoca), di matrice secondo e terzo-internazionalista, impregnata del mito dello «sviluppo delle forze produttive» come leva strategica per far saltare l’involucro dei rapporti sociali di produzione» e realizzare il socialismo”.
Una tesi uguale a questa di Panzieri, sopra richiamata, viene sostenuta dal comunista Aldo Natoli nel lungo articolo da egli pubblicato nel numero 17/1980 di Problemi del socialismo, dal titolo “Attuazione del 1° piano quinquennale (1929 - 1933) e consolidamento del potere staliniano”, in cui verso la fine scrive che
“è sbagliato e fuorviante parlare anche solo di "socialismo reale" per un sistema politico e per un modo di produzione che non hanno nulla a che fare con il socialismo, primo stadio del comunismo”. ... “Poiché gli operai e i contadini non possiedono alcun controllo sul prodotto del proprio lavoro, e, (n.d.r. permanendo il sistema del lavoro salariato), esiste lo sfruttamento nel senso definito da Marx.” .... “Ciò avviene da parte di una forma particolare, storicamente peculiare, di proprietà statale monopolistica dei mezzi di produzione e della terra, gestita da una burocrazia, la quale con la fine dell'autocrazia di Stalin, ha acquistato anche il controllo della gestione degli strumenti del potere.”
La stessa tesi viene precisata nel libro, “Aldo Natoli. Un comunista senza partito”, di Elia Baffoni e Peter Kammerer. In cui si ricorda che
«Natoli si convince che nel periodo tra la fine degli anni venti e la fine degli anni trenta, nonostante gli sforzi eroici ed esaltanti dello scontro tra un capitalismo ritenuto morente e l’epica dei grandi cantieri del socialismo nell’Unione Sovietica, si sarebbe estinto ogni “germe del socialismo e di comunismo sopravvissuto nella società ‘postrivoluzionaria’»; che «l’industrializzazione forzata identificata con il socialismo e poggiata sulla proprietà statale dei mezzi di produzione avvia un processo “di espropriazione della classe operaia, sia della sua vocazione al potere statale, che di ogni forma di controllo e di gestione in fabbrica».
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Ecco una presentazione e una descrizione critica del testo di Luigi Ficarra Il comunismo non consiste nella proprietà statale dei mezzi di produzione. Critica dello stalinismo:
Presentazione del libro
Titolo: Il comunismo non consiste nella proprietà statale dei mezzi di produzione. Critica dello stalinismo
Autore: Luigi Ficarra
Tema centrale: Revisione critica delle basi teoriche del socialismo sovietico e critica dell’identificazione fra comunismo e proprietà statale.
Tesi principale: Il comunismo non può essere identificato con la semplice statalizzazione dei mezzi di produzione; lo stalinismo, basandosi su tale identificazione, ha riprodotto strutture di sfruttamento, disattendendo i principi marxiani fondamentali.
Approccio: Ficarra recupera le critiche di Marx, ripensa le concezioni di Lenin, e mette a confronto le interpretazioni staliniane con voci critiche come quelle di Raniero Panzieri, Aldo Natoli e Marco Revelli.
Contesto: L'opera si inserisce nel filone della sinistra comunista non dogmatica, e propone un radicale riesame del significato di socialismo e comunismo alla luce delle degenerazioni burocratiche del cosiddetto “socialismo reale”.
Descrizione e analisi critica
1. La radice teorica dell’equivoco: Lenin e l’apparato capitalistico di Stato
Ficarra muove da una critica a un elemento fondativo dell’ideologia sovietica: l’idea di Lenin secondo cui il capitalismo monopolistico di Stato fosse “l’anticamera del socialismo”. In testi come L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916) e I bolscevichi conserveranno il potere statale? (1917), Lenin sostiene che l’apparato capitalistico – con la sua razionalizzazione, le banche, i trust, gli strumenti di statistica – potesse essere semplicemente “messo al servizio del socialismo” sostituendo i capitalisti con una direzione proletaria.
Ficarra contesta questo punto, sostenendo che tale apparato non è neutrale, come dimostrato da Ulf Wolter: è il prodotto di determinati rapporti di produzione e di una struttura sociale gerarchica che tende a riprodursi. La sostituzione della proprietà privata con quella statale non trasforma automaticamente le relazioni sociali né abolisce lo sfruttamento.
2. Stalinismo e feticismo della proprietà statale
La critica di Ficarra colpisce direttamente il fondamento dello stalinismo: la pretesa che basti la proprietà statale per garantire rapporti socialisti. Questa posizione – accolta dai partiti comunisti ufficiali, compreso il PCI – legittimava la centralizzazione burocratica e la espropriazione del controllo operaio, giustificando lo sviluppo della tecnocrazia e della gerarchia nell’URSS.
Significativo è l’episodio citato di Henri Lefebvre, espulso dal PCF per aver criticato proprio questa concezione. Il pensiero dominante vedeva la sostituzione della borghesia con funzionari comunisti come sufficiente alla trasformazione socialista.
3. Il ritorno a Marx e la critica al lavoro salariato
Ficarra recupera la critica radicale di Marx alla concezione lassalliana dello Stato “creatore di socialismo” (Critica del programma di Gotha). Per Marx, lo Stato borghese non può essere strumento di emancipazione: le cooperative create “dall’alto” non possono realizzare il socialismo, che nasce solo da processi rivoluzionari e autogestione proletaria.
Marx chiarisce inoltre che il sistema del lavoro salariato, anche se gestito dallo Stato, è un sistema di schiavitù moderna, fondato sul lavoro gratuito e sul controllo della forza-lavoro. Questo punto è centrale: secondo Ficarra, né l’URSS né gli altri paesi socialisti hanno mai superato il lavoro salariato; lo sfruttamento sopravvive in forme nuove, gestite da una burocrazia dirigente.
4. La critica al produttivismo: Panzieri, Natoli e Revelli
Ficarra si inserisce nella tradizione della “altra sinistra” marxista, quella che già negli anni ’60 e ’70 (con Panzieri, Aldo Natoli, Lucio Libertini) criticava il feticismo della crescita delle forze produttive come via automatica al socialismo. Nel saggio Sull’uso capitalistico delle macchine, Panzieri denunciava come anche in URSS la tecnologia fosse usata per intensificare lo sfruttamento, non per emancipare il lavoro.
Aldo Natoli, in un celebre intervento del 1980, rifiuta il concetto di “socialismo reale”: sotto Stalin, scrive, è avvenuta una “espropriazione della classe operaia”, esclusa dal controllo sulla produzione e sul potere. La proprietà statale, scrive, si è trasformata in potere autonomo della burocrazia, che perpetua rapporti sociali di dominio.
Conclusione
Luigi Ficarra, con questo saggio, propone una rottura teorica e politica rispetto all’eredità dello stalinismo e del socialismo di Stato. La tesi cardine – che la proprietà statale non equivale al comunismo – viene argomentata criticamente attraverso Marx, Lenin, e le riflessioni della sinistra eterodossa italiana. L’opera è un contributo essenziale per ridefinire la strategia socialista in termini di controllo operaio, abolizione del lavoro salariato e trasformazione dei rapporti sociali, ben oltre la mera nazionalizzazione dei mezzi di produzione.
Se vuoi, posso anche trasformare questa sintesi in una recensione per una rivista, in un riassunto didattico o in una tesina tematica. Fammi sapere!
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