Il capitalismo feroce erode la democrazia

 

Il capitalismo feroce erode la democrazia
di Elena Basile
FQ, 24.7.25
Le Costituzioni democratiche del dopoguerra erano basate su un postulato che appare ormai contraddetto dall’evoluzione sociopolitica dell’Europa. Il potere del demos, del popolo, in base alla rule of law, al suffragio universale, alle elezioni, alla tutela delle minoranze significava che il popolo eleggeva i propri rappresentanti i quali, operando sintesi tra tendenze, poteri e rappresentanze diverse, avrebbero realizzato politiche economiche, sociali e una politica estera basata sui principi costituzionali e sugli interessi del Paese, della società civile rappresentata nei plurali apparati privati e pubblici e nei corpi intermedi in grado di dare un contributo alla conduzione della res publica.
Il meccanismo democratico si è purtroppo inceppato in quanto politica economica ed estera non sono più una scelta delle élite elette in Europa, ma dipendono da poteri extraparlamentari in grado di condizionare interamente la classe dirigente europea. È necessario guardare a questa realtà senza reticenze se vogliamo poter incidere su di essa.
Naturalmente i riti della democrazia, anche in base alla manipolazione propagandistica dei popoli, sono restati intatti. Le elezioni si tengono a scadenze fisse, e schieramenti apparentemente antitetici si presentano allo scrutinio degli elettori. È preservata pertanto l’illusione che i cittadini liberamente eleggano le élite a cui delegano la gestione della cosa pubblica: innanzitutto politica economica e sociale, politica estera. Eppure tutto è cambiato. La propaganda da sempre esistita, dopo la fine dell’Urss, è divenuta monopolio di un apparato mediatico occidentale che nella fase finanziaria del capitalismo coincide nella proprietà, nell’osmosi degli incarichi, con la società dell’1% e della sua classe di servizio: burocrazia, accademia, settore manageriale. Come è noto, il pensiero unico impera. La critica agli Usa, a Israele, al capitalismo finanziario, all’Europa costituisce una linea rossa che non può essere oltrepassata. Il contrasto alla narrativa Nato viene bollato come antiamericanismo che pone al di fuori dell’arco costituzionale e civile lo sfortunato libero pensatore che ha tanto osato. La critica a Israele diviene antisemitismo o addirittura sostegno al terrorismo, perseguibili entrambi dal sistema giudiziario. La valutazione negativa del capitalismo finanziario porta immediatamente l’autore sconsiderato a essere etichettato come populista, un ordinario squinternato non in grado di accettare la realtà. Il capitalismo non è più una forma di organizzazione economica relazionata a un determinato periodo storico e pertanto riformabile oppure sostituibile in base a parametri diversi dell’economia politica, ma acquista insieme alla difesa di Israele e del dominio statunitense un carattere ontologico, diviene in altre parole una realtà di cui si può soltanto tener conto, imprescindibile per il discorso politico.
Non pochi fattori storici hanno portato a questi risultati. La libera circolazione dei capitali ha condotto alla fine della dialettica capitale-lavoro tipica degli anni keynesiani dei Cinquanta, Sessanta e Settanta. I ceti capitalistici hanno acquisito un potere tale negli anni Ottanta da essere detassati. Lo Stato non potendo attingere a una fiscalità equa e dovendo rimpinguare le casse, grazie al sacrificio della classe lavoratrice, piccoli imprenditori e agricoltori inclusi, al fine di mantenere l’ordine sociale, ha dovuto indebitarsi.
Un circuito perverso è stato messo in piedi e ha creato la trappola del debito. I governi europei si indebitano sui mercati finanziari con i ceti capitalistici al fine di mantenere gli standard sociali accettabili. La remunerazione dei ceti capitalistici prestatori di ricchezza è pagata dal popolo. Le disuguaglianze sociali crescono in modo esponenziale. Col Trattato di Maastricht del 1992 questo sistema neoliberista viene codificato. La burocrazia europea diviene la cinghia di trasmissione tra la lobby del business e gli Stati nazionali. Il coordinamento delle politiche economiche degli Stati attraverso i poteri speciali della Troika, soprattutto della Commissione europea, rendono la sovranità statuale irrilevante nella programmazione delle politiche economiche e sociali, determinate ormai dal vincolo esterno. Del resto, anche fuori dall’Europa, dato lo sviluppo a partire dalla crisi del 2008 di potentati economici come BlackRock, la politica economica è decisa dalle lobby degli affari di cui quella delle armi e la lobby di Israele sono parti integranti. È possibile un’autonomia della politica nelle società occidentali rispetto a queste influenze esterne che finanziano e hackerano leader eletti ma impossibilitati a perseguire gli interessi del Paese? Questa domanda appare cruciale per comprendere come organizzare nelle oligarchie plutocratiche una forma di resistenza civile.


Schema del Saggio

1. Introduzione

  • Contesto: Le Costituzioni democratiche del dopoguerra si basavano sulla sovranità popolare e sulla rule of law.

  • Problema odierno: Il potere decisionale è stato eroso da forze extraparlamentari, rendendo la democrazia formale ma non sostanziale.

  • Tesi: Il capitalismo finanziario e le élite globali hanno svuotato la sovranità popolare, minando la democrazia.

2. L’illusione della democrazia rappresentativa

  • Meccanismo democratico inceppato: Le scelte economiche e di politica estera sono dettate da poteri esterni (lobby, mercati finanziari, organismi sovranazionali).

  • Riti democratici conservati: Elezioni regolari e opposizioni apparenti mascherano l’assenza di reale autonomia decisionale.

3. Il monopolio del pensiero unico

  • Controllo mediatico: I grandi gruppi finanziari controllano l’informazione, marginalizzando voci critiche.

  • Tabù politici: Criticare gli USA, Israele, il capitalismo finanziario o la NATO viene bollato come estremismo o antisemitismo.

  • Capitalismo come dogma: Non più un sistema economico storicamente determinato, ma un’entità ontologica indiscutibile.

4. Le cause strutturali dello svuotamento democratico

  • Fine della dialettica capitale-lavoro: Con la liberalizzazione dei capitali (anni ‘80), il potere economico si è concentrato nelle mani di pochi.

  • Fiscalità iniqua e debito pubblico: Lo Stato, privato di risorse, si indebita con i mercati, creando un circolo vizioso di dipendenza.

  • Trattato di Maastricht e governance europea: Le politiche economiche sono decise da organismi non elettivi (Troika, Commissione UE), svuotando la sovranità nazionale.

5. Conseguenze: disuguaglianze e perdita di autonomia politica

  • Aumento delle disparità sociali: Il sistema favorisce l’1% a discapito della classe lavoratrice.

  • Vincolo esterno: Le decisioni politiche sono subordinate agli interessi di entità come BlackRock o le lobby militari.

  • Domanda cruciale: È ancora possibile una resistenza civile in un’oligarchia plutocratica?

6. Conclusione

  • Necessità di consapevolezza: Senza un’analisi critica del potere reale, non può esserci cambiamento.

  • Prospettive di resistenza: Occorre ripensare modelli di partecipazione e sovranità popolare oltre le strutture neoliberiste.


Sviluppo in forma di breve saggio

Il capitalismo finanziario e l’erosione della democrazia

Le democrazie occidentali del dopoguerra erano fondate sull’idea che il popolo, attraverso elezioni libere e istituzioni rappresentative, potesse determinare le politiche economiche e sociali della nazione. Oggi, tuttavia, questo modello appare svuotato: il potere reale non risiede più nelle assemblee elettive, ma in una rete di interessi finanziari e oligarchici che condizionano le scelte dei governi. Come evidenzia Elena Basile, il capitalismo feroce ha corroso la democrazia, trasformandola in una facciata dove i rituali elettorali persistono, ma la sostanza del potere popolare è stata neutralizzata.

Uno dei paradossi più evidenti è la sopravvivenza formale della democrazia in assenza di una reale autonomia decisionale. I partiti si presentano agli elettori con programmi apparentemente divergenti, ma le politiche fondamentali—dall’economia alla geopolitica—sono dettate da attori extraparlamentari: mercati finanziari, organismi sovranazionali come la Troika, e lobby transnazionali. La propaganda mediatica, controllata da gruppi vicini all’élite economica, normalizza questo sistema, relegando ogni critica radicale ai margini del dibattito pubblico. Chi contesta il dominio USA, il capitalismo finanziario o le politiche di Israele viene tacciato di populismo, antisemitismo o complottismo, in un meccanismo che sterilizza il dissenso.

Le radici di questa deriva affondano negli anni ’80, con l’abbandono delle politiche keynesiane e l’avvento del neoliberismo. La liberalizzazione dei capitali ha spezzato l’equilibrio tra lavoro e capitale, concentrando ricchezza e potere nelle mani di una ristretta oligarchia. Gli Stati, privati di risorse fiscali a causa della detassazione dei grandi patrimoni, hanno dovuto indebitarsi sui mercati, creando una spirale perversa: i governi dipendono dai finanziatori privati per mantenere i servizi pubblici, mentre questi ultimi impongono politiche di austerity che ampliano le disuguaglianze. Il Trattato di Maastricht (1992) ha cristallizzato questo sistema, trasferendo la sovranità economica a entità non elettive come la Commissione Europea.

Il risultato è una democrazia senza democrazia: i cittadini votano, ma le scelte cruciali sono nelle mani di BlackRock, delle multinazionali belliche o dei fondi d’investimento. La domanda che sorge spontanea è se sia ancora possibile riconquistare spazi di autonomia. La risposta passa attraverso la consapevolezza collettiva di questi meccanismi e la costruzione di nuove forme di resistenza—dai movimenti sociali a modelli economici alternativi—che restituiscano al demos il controllo sul proprio destino. Senza una rottura con l’ordine neoliberista, la democrazia rischia di ridursi a un simulacro, svuotato dalla ferocia del capitalismo globale.

OCCHIELLO:
Come il potere finanziario ha svuotato la sovranità popolare

TITOLO:
DEMOCRAZIA SENZA POTERE: IL TRIONFO DEL CAPITALISMO FINANZIARIO

Sottotitolo (opzionale):
Dai trattati europei al dominio delle lobby, così l’economia globale ha reso inutili le urne


Questo schema mantiene un tono giornalistico-incisivo, adatto a un articolo di fondo o a un saggio breve. L’occhiello sintetizza la tesi centrale, mentre il titolo evoca il paradosso di una democrazia formale privata della sua sostanza. Il sottotitolo (facoltativo) precisa gli ambiti concreti dell’analisi.

Se vuoi un approccio più provocatorio, potresti optare per:
TITOLO: IL GOLPE SILENZIOSO DEI MERCATI
Come finanza e burocrazie Ue hanno ucciso la democrazia

Oppure, in chiave costruttiva:
TITOLO: OLTRE L’ILLUSIONE DEMOCRATICA
Per ricostruire la sovranità popolare nell’era del capitalismo globale

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