L’umanità dall’evoluzione all’ebollizione
- Ottieni link
- X
- Altre app
L’umanità dall’evoluzione all’ebollizione
La crisi climatica fa sì che entro la fine del secolo le temperature non potranno essere tollerate dal corpo. Per i bambini questo scenario è già reale. Contromisure? Ci sono
- Corriere della Sera
- Di GIUSEPPE REMUZZI ILLUSTRAZIONE DI ANGELO RUTA be humanized,
Avete un’idea del perché, non solo gli scienziati del clima, ma anche noi medici siamo sempre più preoccupati per il riscaldamento del nostro pianeta? È piuttosto semplice, ci stiamo rendendo conto di come il nostro organismo sia più vulnerabile all’aumento della temperatura di quanto pensavamo fino a qualche anno fa. E che c’è un limite alla nostra capacità di resistere al caldo — e questo è logico, direte voi — ma ci arriveremo mai? Sì. Stando alle previsioni che tengono conto di quello che è successo negli ultimi decenni, quella soglia la raggiungeremo nel 2070, quantomeno in Cina, ed entro la fine del secolo nelle aree del Golfo, dell’India e del Sud-est asiatico. A quel punto quasi due miliardi di persone dovranno fare i conti con una temperatura che il nostro corpo non può tollerare: ci saranno più morti di caldo che di malattie infettive, di cancro e di malattie del cuore. Così tutti i ragionamenti che facciamo su migranti e migrazioni si infrangeranno contro una realtà inesorabilmente più forte delle ideologie e dei nazionalismi.
Ma c’è un’altra domanda a cui i dottori, e non solo loro, vorrebbero poter dare una risposta: «Quale sarà il futuro per i bambini che nascono adesso o per quelli che sono nati anche solo quattro o cinque anni fa?». Medici di Bruxelles, Lovanio, Zurigo, con scienziati di altre università, incluso quelle del Canada, hanno provato a rispondere. Il lavoro è stato pubblicato proprio in questi giorni su «Nature». Cominciamo col dire che un miliardo — avete letto bene: un miliardo — dei bambini del mondo vivono già oggi in aree ad altissimo rischio di ondate di calore, alluvioni, siccità, incendi, tempeste tropicali, cicloni (che spazzano via case e scuole, al punto che milioni di bambini non potranno avere accesso a qualunque forma di istruzione). Non solo, questi studiosi e altri — c’è sul «Lancet» di questi giorni — hanno calcolato che, rispetto a quelli del 1960, i bambini nati nel 2020 avranno da due a sette volte più probabilità di essere esposti durante la loro vita a eventi climatici estremi. E non basta. In base ai calcoli degli scienziati del clima, alla fine di questo secolo (a meno che non cambi qualcosa) arriveremo a un aumento di 3,5 gradi di temperatura. Se sarà così il 92% dei bambini nati negli ultimi quattro o cinque anni avranno problemi di salute, certo, ma persino di sopravvivenza.
E se invece riuscissimo a rispettare l’accordo di Parigi, e non superare il limite di 1,5 gradi di temperatura? A parte che già oggi siamo arrivati tra 1,5 e 1,6, anche in questo caso, pure estremamente improbabile, 50 milioni di bambini nel mondo soffriranno di eventi climatici estremi. L’aumento delle temperature poi espone al rischio di aborti, di parti pretermine e di bambini con basso peso alla nascita. Queste circostanze predispongono a malattie negli anni successivi, senza contare che più aumenta la temperatura più si diffondono malattie come la malaria, il virus della dengue, il virus Zika, il virus Chikungunya che mettono a rischio la vita dei bambini e soprattutto dei bambini piccoli, e le loro famiglie saranno costrette a migrare, come sta già succedendo e come è sempre stato nella storia dell’uomo. Glielo possiamo impedire? Con che coraggio? Se pensate che in una lettera che i vescovi della Bolivia avevano scritto al Papa già 13 anni fa si legge che «i Paesi che hanno tratto beneficio da un alto livello di industrializzazione, a costo di un’enorme emissione di gas serra, hanno maggiore responsabilità di contribuire alla soluzione dei problemi che hanno causato. Di fatto il deterioramento dell’ambiente o della società colpisce in modo speciale i più deboli del pianeta». Per inciso, la Bolivia, dove sono spariti i ghiacciai anche a 5 mila metri, produce solo lo 0,004% delle emissioni globali; e mentre loro soffrono per la siccità e la mancanza di acqua, le nostre abitudini di vita, giorno dopo giorno, generano 1.737 tonnellate di CO2; basta e avanza per mettere a rischio la salute di tutti noi e la sopravvivenza stessa dell’uomo.
«Dobbiamo essere per forza così pessimisti?». Se lo fossimo avremmo già smesso di fare ricerca, ma è tempo di prendere atto con realismo e consapevolezza di quello che succederà ai bambini di oggi se non ci muoviamo subito; tutti insieme e in tutto il mondo, per far sì che il riscaldamento della terra si limiti davvero a 1,5 gradi. Se ci dovessimo riuscire, saranno i bambini delle regioni più disagiate quelli che ne trarranno i maggiori benefici.
Per ottenere questo risultato, però, è necessario che politiche del clima, leggi e distribuzione delle risorse abbiano attenzione anche ai bambini; per ora non è così, in base a un rapporto del Centro EuroMediteranno e del Grantham Institute di Londra appena pubblicato su cambi del clima e salute dei bambini.
Le cose da fare le sappiamo ormai fin troppo bene:
1. Agglomerati urbani: progettare le città perché sappiano proteggerci dal caldo (va in questa direzione una importantissima sperimentazione avviata dall’Università Milano-Bicocca); depavimentazione delle piazze, verso la transizione verde utilizzo del terriccio di origine vegetale fatto per ridurre sensibilmente le conseguenze del calore da asfalto e cemento.
2. Alimentazione: cambiare il modo di alimentarci, dato che l’agroalimentare contribuisce per il 30% al riscaldamento globale; basti pensare che solo nel 2022 e solo in rapporto al nostro modo di mangiare, si è arrivati a più di 16 miliardi di tonnellate di CO2.
3. Energia: si può prendere esempio da Spagna e Portogallo, da loro il 60% dell’energia viene da fonti rinnovabili e questo ha ridotto considerevolmente i costi, ha aumentato i posti di lavoro, e portato a una crescita dell’economia. 4. Biodiversità: un bellissimo lavoro appena pubblicato su «Science» dimostra che alimentare la biodiversità è una conditio sine qua non per assicurare a uomo, animali e piante un ecosistema integrato che sappia portare a un futuro di benessere.
La crisi che stiamo attraversando sta trasformando la terra, e la nostra risposta dovrebbe essere altrettanto transformative, secondo un articolo pubblicato già da qualche anno da ricercatori di Cile e Nord America. A questo punto scienziati e politici dovrebbero lavorare insieme, raccogliere le migliori evidenze scientifiche e convertirle in decisioni che sappiano davvero proteggere il Pianeta. Come minimo andrebbe onorato un altro degli impegni presi a Parigi nel 2015: non superare i 2 gradi di aumento di temperatura. Non ci siamo ancora arrivati, per fortuna, ma ci siamo molto vicini. E allora? Vanno ripensati i principi fondamentali cui hanno fatto riferimento finora le nostre civiltà e si potrebbe persino dover mettere in discussione l’idea della proprietà delle terre e dei mari. «Ma è quello su cui si sono basati il progresso e la crescita del genere umano!», direte voi. Vero, ma continuare come abbiamo sempre fatto è rischioso: la Terra è un intricato sistema di relazioni tra clima, uomo, animali e piante. E l’uomo non è necessariamente al centro dell’universo; a dirla tutta, è proprio l’esserci considerati il perno attorno a cui ruota tutto la causa di quello che stiamo vivendo. Sessantasei milioni di anni fa sono scomparsi i dinosauri, che allora dominavano la Terra (proprio come noi oggi). Molto probabilmente è stato un asteroide, oggi l’asteroide siamo noi. Il lavoro di «Science»di cui parlavamo prima finisce con un riferimento alla cilena Gabriela Mistral, premio Nobel per la Letteratura nel 1945: Humanity is yet to
l’umanità dev’essere ancora umanizzata.
End Page:15
- Ottieni link
- X
- Altre app
Commenti
Posta un commento