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Come uscire dalla crisi del neoliberalismo?
di Redazione
La ristrutturazione del sistema statale deve continuare in direzione di una maggiore concentrazione del potere nelle mani di una élite globalizzata, o la soluzione migliore è l’inserimento degli stati in un’architettura internazionale che rispetti la loro sovranità? È la questione posta dall’ultimo libro di Wolfgang Streeck.
Il capitalismo, come è noto, consiste nella moltiplicazione infinita di un capitale pronto e disponibile a moltiplicarsi. Una società a gestione economica di tipo capitalistico deve avvalersi di membri disposti a farsi trascinare in tale sistema, seppure il risultato dei loro sforzi e della tensione al miglioramento loro richiesta finisca secondo la natura del capitalismo, nelle mani di una piccola minoranza in forma di proprietà privata.
Le tecniche motivazionali del lavoratore
Affinché accetti di stare al gioco anche chi programmaticamente è escluso dai risultati prodotti dalla collettività – e incluso solo come fattore di costo nel calcolo del profitto altrui – si rendono necessarie efficaci tecniche motivazionali, riadattate di volta in volta a modi e a rapporti di produzione in continuo mutamento: sotto forma di “incentivi al lavoro”, ispirati alle promesse di salvezza della religione (Weber 2002 [1904-1905]), di minacce di sanzioni penali e prospettive di ristrettezza economica (Marx 1966 [1867), di finanziamenti per l’acquisto di una casa o il consumo, di salari superiori ai valori di mercato (efficiency wages, “salari di efficienza”), di politiche sociali di espansione dell’offerta lavorativa attraverso strategie push e pull (di anticipo e soddisfazione della domanda), di ascensori sociali dei mercati del lavoro interno”, di “bonus di rendimento” e, cosa ancor più importante al giorno d’oggi, di un’offerta infinita di beni di consumo, sempre nuovi e “migliori”.
La questione da risolvere, dunque, è stata descritta da Marx nei suoi studi di storia dell’economia (seppur in termini differenti) come quella di permanente tensione alla sussistenza economica che non bada al risultato, ma si accontenta di un livello di consumo consolidato, ritenuto tradizionalmente adeguato.
Anche secondo Weber, il tradizionalismo è in tal senso nemico del capitalismo; la prosperità di quest’ultimo si basa infatti sull’esito di una rieducazione dei membri della società che esso di volta in volta permea inducendoli a perseguire, secondo il principio di massimizzazione dei risultati a fronte di una minimizzazione degli input. Il miglior risultato possibile dalla forza lavoro, anziché permetterle di riposare una volta raggiunto un certo livello di rendimento.
Il consenso sociale post-bellico
Dopo il disastro della crisi economica e democratica mondiale della prima metà del secolo, nel corso della ricostruzione dell’economia del dopoguerra il capitalismo si è guadagnato il sostegno anche dei suoi oppositori, grazie ad ampie promesse di sviluppo politico ed economico. Alla base di tale sistema vi era un particolare contratto politico sociale, noto nei paesi anglofoni come post-war settlement (consenso postbellico) che garantiva al processo d’accumulazione capitalistica di proseguire ininterrotto, attraverso concessioni mediate e sostenute dalla politica di fronte a una grande maggioranza di persone che a un’accumulazione illimitata del capitale privato non poteva invece avere alcun interesse.
Già negli anni Settanta, tuttavia, tale soluzione al problema motivazionale interno al capitalismo si rivelò controproducente; ed è questo, in ogni caso, un argomento centrale della mia interpretazione della crisi degli anni Sessanta, culminata negli scioperi di massa del 1968-1969. Quel che avrebbe dovuto ripristinare la crescita minacciava ora invece di comprometterla, ossia salari elevati e in prospettiva sempre più alti, un regime occupazionale regolato in modo “rigido” nel mercato e sul posto di lavoro e l’introduzione di diritti di cittadinanza industriale (TH. Marshall) per i lavoratori, che avrebbero anche permesso di razionalizzare l’offerta di manodopera riducendo gli orari di lavoro.
Rivoluzione neoliberale e assalto allo stato democratico
Si giunse dunque alla rivoluzione neoliberale, che prese d’assalto lo stato democratico nazionale, quale luogo del compromesso sociale raggiunto nel secondo dopoguerra, insieme alle promesse di progresso da esso istituite e all’eventuale rischio di un ritorno a un tradizionalismo di sussistenza. Al fine di affrancare ulteriormente il processo di accumulazione capitalistica dai vincoli della sua controparte economica e sociale, mediata dalla politica, si resero necessarie tecniche motivazionali più avanzate. Un ruolo centrale nella lotta del capitale, contro crisi di motivazione dei suoi operatori e la stagnazione del processo moltiplicativo, fu svolto dall’aumento della pressione competitiva sui lavoratori nelle “società del benessere” occidentali, soprattutto a livello transnazionale sulla scia della globalizzazione con ‘obiettivo di costringere chi lavora a maggiori sforzi e a una più docile disponibilità ad adattarsi alle mutevoli condizioni del mercato e all’emergere di una mutata forma di governamentalità, descritta in modo formidabile da Foucault (2004).
La rivoluzione neoliberale ha sostituito il progresso sociale, quale incentivo al lavoro, con sentimenti di paura e bramosia, secondo una formula consolidatasi appena all’inizio del XXI secolo. In altri termini, essa si proponeva di trasformare i cittadini dello stato sociale, dotati di propri diritti, in lavoratori impauriti e consumatori fedeli al contempo mossi da apprensione per la propria esistenza e trascinati da un’offerta sempre nuova e maggiore di beni di consumo, imposti come obbligo sociale. Questo progetto si è inceppato. Lì dove il depauperamento neoliberale delle istituzioni e dei suoi meccanismi di tutela sociale avrebbe dovuto spingere le masse a nuovi sforzi, si è prodotta invece una distribuzione sempre più diseguale dei risultati, causa con ogni probabilità della stagnazione, se non addirittura di una recessione, nella produttività economica generale.
Per la gran parte di quanti dipendevano dalla vendita della forza lavoro, ciò ha significato un aumento degli sforzi necessari a difendere il risultato raggiunto, mentre minore diveniva il risultato ottenuto con l’impiego di un medesimo sforzo. Il progresso si allontanava all’orizzonte o dipendeva ora, in maniera individuale, da sforzi raddoppiati, condizioni iniziali avvantaggiate o congiunture fortuite. Anche il ritorno a un modo di vita statico e tradizionale, basato sulla sussistenza, richiedeva un maggiore impegno di energie, una sempre pronta e attenta disponibilità ad adattarsi a condizioni di mercato e di concorrenza in costante e imprevedibile mutamento, con un alto rischio di fallimento e senza alcuna garanzia di buon fine.
Il ristagno della Politica
Nella paralisi del capitalismo neoliberale anche la politica ristagna, non sapendo più come giustificare quest’ultimo e sé stessa, a quale dei due dare priorità e come tenerli insieme: se evocando nuove prospettive di crescita o predicando, contro l’attaccamento ai beni materiali, il ritorno a una vita più semplice, con acqua al posto del vino e champagne per pochi fortunati. Nel passato postbellico della mixed economy, il capitalismo traeva la propria legittimità dalle promesse, mediate dalla politica di un’esistenza agiata all’ombra di una distruzione creativa da cui esso sarebbe stato salvo. La stabilità sociale poggiava su aspettative fittizie” (Beckert 2013; 2014; 2018) diffuse in forma massiva di un’esistenza futura di chi ormai praticamente è in pensione, sottratta alla corsa del progresso capitalistico e a un capitalismo oltre se stesso e non più realmente tale; “aspettative fittizie” dunque legate al credito, agli investimenti, all’innovazione e ai consumi, che si aggiungono di fatto a quelle tanto mirabilmente analizzate da Beckert. Già prima della doppia crisi degli ultimi anni, il capitalismo divenne, per buona parte di chi lo sostiene con il proprio lavoro, un orizzonte privo di trascendenza, capitalismo che non rimette più a nient’altro, ma solo a sé medesimo: capitalismo puro e semplice, totalmente secolarizzato, senza prospettive e speranza di un aldilà non capitalista e rivolto solo a se stesso. Ad agire sul presente, sostiene Beckert (2018, PP. 18 sg.), non è solo il passato storico, ma anche il futuro, che del primo non è che un’estensione».
[Wolfgang Streeck, Globalismo e democrazia. L’economia politica del tardo neoliberismo, trad. it., Feltrinelli, Milano, 2024]
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OCCHIELLO (250 caratteri)
Il capitalismo neoliberale è in crisi: dopo aver sostituito il progresso sociale con paura e consumismo, oggi fatica a garantire crescita e legittimità. Serve una nuova architettura politica.
Il capitalismo neoliberale è in crisi: dopo aver sostituito il progresso sociale con paura e consumismo, oggi fatica a garantire crescita e legittimità. Serve una nuova architettura politica.
ABSTRACT (300 parole)
L’articolo analizza la crisi del neoliberalismo attraverso le riflessioni di Wolfgang Streeck, mettendo in discussione la concentrazione del potere in élite globalizzate e proponendo un ripensamento della sovranità statale in un’ottica internazionale.
Streeck ripercorre l’evoluzione del capitalismo, da sistema basato su crescita illimitata e sfruttamento motivazionale a modello in crisi di legittimità. Dopo il secondo dopoguerra, il post-war settlement garantì un equilibrio tra accumulazione capitalistica e consenso sociale, ma dagli anni ’70 questo compromesso entrò in crisi, portando alla rivoluzione neoliberale. Quest’ultima ha smantellato lo Stato sociale, sostituendo le garanzie collettive con competitività globale, paura e consumismo obbligatorio.
Tuttavia, il progetto neoliberale si è inceppato: la disuguaglianza crescente ha ridotto la produttività, mentre i lavoratori sono costretti a sforzi maggiori per risultati sempre più incerti. La politica, paralizzata, non sa più giustificare il sistema, oscillando tra promesse di crescita irraggiungibili e un ritorno forzato alla frugalità.
Streeck invita a riflettere su un’alternativa: un capitalismo "secolarizzato", privo di prospettive trascendenti, o una riorganizzazione democratica che superi le contraddizioni del neoliberismo. La soluzione potrebbe risiedere in un nuovo contratto sociale, capace di conciliare sovranità nazionale e cooperazione internazionale.
L’articolo analizza la crisi del neoliberalismo attraverso le riflessioni di Wolfgang Streeck, mettendo in discussione la concentrazione del potere in élite globalizzate e proponendo un ripensamento della sovranità statale in un’ottica internazionale.
Streeck ripercorre l’evoluzione del capitalismo, da sistema basato su crescita illimitata e sfruttamento motivazionale a modello in crisi di legittimità. Dopo il secondo dopoguerra, il post-war settlement garantì un equilibrio tra accumulazione capitalistica e consenso sociale, ma dagli anni ’70 questo compromesso entrò in crisi, portando alla rivoluzione neoliberale. Quest’ultima ha smantellato lo Stato sociale, sostituendo le garanzie collettive con competitività globale, paura e consumismo obbligatorio.
Tuttavia, il progetto neoliberale si è inceppato: la disuguaglianza crescente ha ridotto la produttività, mentre i lavoratori sono costretti a sforzi maggiori per risultati sempre più incerti. La politica, paralizzata, non sa più giustificare il sistema, oscillando tra promesse di crescita irraggiungibili e un ritorno forzato alla frugalità.
Streeck invita a riflettere su un’alternativa: un capitalismo "secolarizzato", privo di prospettive trascendenti, o una riorganizzazione democratica che superi le contraddizioni del neoliberismo. La soluzione potrebbe risiedere in un nuovo contratto sociale, capace di conciliare sovranità nazionale e cooperazione internazionale.
SCHEDA SINTETICO-ANALITICA
Autore: Redazione (con riferimenti a Wolfgang Streeck)
Titolo: Come uscire dalla crisi del neoliberalismo?
Fonti: Streeck, Marx, Weber, Foucault, Beckert
Temi chiave:
Crisi del neoliberalismo: Declino del modello basato su competitività globale e consumismo.
Storia del capitalismo: Dalla mixed economy postbellica alla rivoluzione neoliberale.
Critica sociale: Sfruttamento motivazionale, disuguaglianza, paralisi politica.
Proposte: Ripensare la sovranità statale in un’architettura internazionale.
Tesi principale: Il neoliberalismo ha fallito nel garantire crescita e stabilità; serve un nuovo patto sociale che superi le sue contraddizioni.
Destinatari: Studiosi di economia politica, attivisti, policy maker.
Let me know if you need adjustments!
Autore: Redazione (con riferimenti a Wolfgang Streeck)
Titolo: Come uscire dalla crisi del neoliberalismo?
Fonti: Streeck, Marx, Weber, Foucault, Beckert
Temi chiave:
Crisi del neoliberalismo: Declino del modello basato su competitività globale e consumismo.
Storia del capitalismo: Dalla mixed economy postbellica alla rivoluzione neoliberale.
Critica sociale: Sfruttamento motivazionale, disuguaglianza, paralisi politica.
Proposte: Ripensare la sovranità statale in un’architettura internazionale.
Tesi principale: Il neoliberalismo ha fallito nel garantire crescita e stabilità; serve un nuovo patto sociale che superi le sue contraddizioni.
Destinatari: Studiosi di economia politica, attivisti, policy maker.
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