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No, non va tutto bene. Ma è giusto avere dubbi sul declino dell’Italia

 

No, non va tutto bene. Ma è giusto avere dubbi sul declino dell’Italia

La crescita è troppo bassa e le dinamiche attuali sono particolarmente preoccupanti. Ma queste tendenze sono simili a quelle dei grandi paesi europei. Uno studio sui dati Istat ridimensiona la teoria del declino del nostro paese


Qual è la verità sul declino economico dell’Italia? Per anni abbiamo discettato sul fatto che l’Italia crescesse meno degli altri grandi paesi europei e questo è stato indicato da molti osservatori, economisti e non, come un segno del declino del nostro paese.

Ma le cose stanno proprio così? Un recente studio che abbiamo condotto e che sarà pubblicato a fine maggio sulla rivista de Il Mulino fa il punto sull’economia italiana sulla base delle successive revisioni delle stime del Pil operate dall’Istat. Ebbene, la teoria del declino, secondo i dati definitivi, appare molto ridimensionata: l’Italia, nel corso degli anni che vanno dal 2003 al 2025, ha avuto andamenti economici non dissimili da Francia e Germania, a parte il periodo dell’austerità (crisi dell’euro e rischio Italexit dal 2010 al 2015) quando l’Italia è stata costretta a una politica fiscale e monetaria fortemente restrittiva che comunque ha consentito un ridimensionamento degli squilibri interni ed esterni del nostro paese, al prezzo di un forte rallentamento dell’economia.

Le correzioni

Ma andiamo per ordine. Il Pil italiano viene valutato dall’Istat con stime successive che correggono a ritroso le stime precedenti sulla base di informazioni statistiche più complete. In linea teorica, queste correzioni dovrebbero essere di segno alterno, qualche volta sottovalutano il Pil e qualche volta lo sopravvalutano.

Se questo non accade e se le correzioni (positiva o negativa) sono sempre dello stesso segno vuol dire che c’è un errore sistemico, ossia che il sistema di rilevazione è carente perché sopravvaluta o sottovaluta continuamente la stima.

Ebbene, prendendo in considerazione solo le correzioni per maggiori informazioni (cioè escludendo quelle che comportano cambi delle regole contabili come l’inclusione nei conti dell’economia irregolare e di quella illegale che per definizione portano ad ampliare l’attività economica), risulta chiaramente che le valutazioni del Pil annuo italiano sono pressoché regolarmente sottovalutate, ossia che le correzioni avvengono (quasi) sempre al rialzo.

Errore sistemico

Questo indica un errore sistemico che andrebbe corretto con una modifica del sistema di valutazione corrente. Secondo noi, l’errore si concentra sulla stima del valore aggiunto dei servizi, che ormai rappresentano oltre il 70 per cento del Pil e che hanno pochi indicatori infrannuali, ciò che ne rende carente la stima.

Riteniamo che, dati i cambiamenti avvenuti nelle economie industriali, sia necessario privilegiare la domanda (consumi, investimenti ed esportazioni) nella stima del Pil piuttosto che l’offerta (valore aggiunto per settori e importazioni) mentre le rilevazioni statistiche italiane sono per lo più concentrate su indicatori di offerta (produzione e lavoro).

Sarebbe utile poter utilizzare le informazioni derivanti dai sistemi di pagamento digitale che riescono a descrivere l’andamento dell’economia meglio che i dati rilevati dagli stabilimenti e dalle indagini sulle famiglie. Sia detto per inciso, stabilimenti e famiglie descrivono un’economia da anni Cinquanta, quando la fabbrica era il luogo principale della produzione e la famiglia l’ambito del consumo.

Il valore dei servizi

Oggi la realtà è ben differente e i servizi non hanno bisogno di fabbriche, come i consumi non sono più una caratteristica solo familiare. Sottostimare costantemente il Pil ha molte implicazioni. Basti pensare al ruolo che gioca nella politica economica il rapporto debito pubblico su Pil: se quest’ultimo è sottostimato costantemente, rischia di produrre una politica fiscale restrittiva volta a correggere un rapporto che finisce per essere costantemente sopravvalutato.

Da questa sottostima costante deriva poi l’impressione del declino dell’Italia. La prima informazione sul Pil è quella che rimane impressa e che forma il giudizio della gente, ma spesso anche degli esperti che non si peritano di andare poi a vedere se quella stima era corretta o meno.

Anche dalle incorrette rappresentazioni della effettiva situazione economica del paese possono derivare indicazioni di policy squilibrate o fuori tempo.

Non va tutto bene

Con questo, non vogliamo dire che in Italia tutto vada bene. Al contrario, la crescita è troppo bassa e le dinamiche attuali sono particolarmente preoccupanti. Ma queste tendenze sono simili a quelle dei grandi paesi europei, afflitti da una crescita limitata perché, “ossessionati” dalla ricerca di maggiore competitività, hanno finito per comprimere salari e spesa pubblica a favore delle esportazioni, in un gioco che è risultato a somma negativa perché ha compresso la domanda interna a favore di quella esterna.

La conclusione del nostro lavoro è che sarebbe molto importante che in Italia si facesse una revisione dei sistemi di valutazione dei conti nazionali, con un investimento massiccio su nuove fonti di rilevazione per avere stime sostanzialmente corrette del Pil sin dall’inizio. Ciò che non potrà certamente escludere la presenza di errori di stima, ma questi errori saranno con segno alternato e non daranno più luogo a distorsioni di valutazioni che poi si riflettono pesantemente sul giudizio sul paese e sulle politiche economiche del governo.

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