Trumpete

 

Dollaro, un grande futuro alle spalle. La cura Trump che affossa la valuta

Vittorio Malagutti

DOMANI 04 giugno 2025 • 07:00

«Gli Stati Uniti non andranno mai in default», ha scandito il segretario al Tesoro di Washington, Scott Bessent, in tv. «Non accadrà mai», ha aggiunto come se ci fosse bisogno di ribadire il concetto. Il problema, però, è che le sue parole hanno lasciato tiepidi, per non dire freddi, i mercati. Le quotazioni vanno sempre più giù. Colpa dei dazi e del deficit Usa. E il peggio deve ancora venire

Solo qualche mese fa, neppure i più appassionati cultori della fantafinanza sarebbero riusciti a immaginare il segretario al Tesoro di Washington costretto a rassicurare gli investitori internazionali sulla tenuta del bilancio pubblico statunitense. Eppure, lunedì scorso, è andato in scena l’impensabile.

«Gli Stati Uniti non andranno mai in default», ha scandito Scott Bessent intervistato in tv. «Non accadrà mai», ha aggiunto come se ci fosse bisogno di ribadire il concetto. Il problema, però, è che le parole di Bessent hanno lasciato tiepidi, per non dire freddi, i mercati.

Fiducia ai minimi

È vero, il dollaro, che da settimane ormai ha imboccato una china discendente, martedì ha guadagnato qualche decimale sull’euro. Il mini recupero si spiega però con il calo dell’inflazione sotto il 2 per cento nella area della moneta unica, un calo che rafforza la previsione di un taglio del costo del denaro da parte della Bce nella riunione in programma domani.

Tassi giù nel Vecchio Continente, quindi, e implicita diminuzione della convenienza dei titoli obbligazionari in euro. Poca cosa, comunque, perché la fiducia nel biglietto verde resta ai minimi termini. All’inizio dell’anno bastavano 1,02 dollari per comprare un euro. Adesso la quotazione viaggia intorno a 1,14. Siamo ai minimi dall’inizio del 2022 con un calo di oltre il 10 per cento nell’arco di soli cinque mesi. E questo potrebbe essere solo l’inizio di una caduta ben più fragorosa, almeno a leggere le previsioni degli analisti.

L’ufficio studi della banca d’affari Morgan Stanley, per esempio, vede la valuta Usa arrivare a quota 1,26 contro euro entro il 2026, mentre Société Générale indica una soglia di 1,20 per i primi mesi dell’anno prossimo. Nel breve termine, a spingere al ribasso il dollaro è l’incertezza innescata dalla guerra dei dazi dichiarata da Donald Trump al resto del mondo. In poche parole, nessuno compra americano se sul futuro dell’economia Usa grava la nebbia più fitta.

L’impressione generale è che l’impatto dell’erratica (per usare un eufemismo) politica trumpiana avrebbe potuto essere ancora più pesante, se non fosse che i più recenti dati macroeconomici, per quanto in ribasso, hanno fin qui mostrato una certa tenuta. L’inflazione core, che esclude cibi freschi ed energia, nel primo trimestre dell’anno ha fatto segnare un più 3,4 per cento contro il 2,6 per cento degli ultimi tre mesi del 2024. Male, ma non malissimo.

Le previsioni Ocse

Il peggio però deve ancora venire, se è vero che le previsioni dell’Ocse rese note martedì vedono il costo della vita negli Stati Uniti rimbalzare fino al 4 per cento entro la fine del 2025. Lo stesso report è pessimista anche sulla crescita del Pil, che dovrebbe rallentare dal 2,8 per cento del 2024 all’1,6 per cento di quest’anno e all’1,5 del prossimo. Tutto questo in un contesto internazionale che vede tassi di crescita stabili o in frenata per quasi tutti i maggiori paesi industrializzati, Italia compresa, che oscilla tra lo 0,7 e lo 0,6 per cento.

Il motore dell’economia globale sconta, come detto, l’effetto dazi, e a pagare il prezzo più alto potrebbe alla fine essere proprio il paese che ha stappato un vaso di Pandora sempre più difficile da richiudere. Come se non bastasse, il dollaro deve anche fare i conti con un bilancio pubblico di Washington sempre più pericolante, appesantito da un debito di 36 mila miliardi di dollari pari al 124 per cento del Pil.

La pagella della società di rating Moody’s, che di recente ha abbassato il voto al debito Usa, allineandosi alle valutazioni delle altre due agenzie Standard & Poor’s e Fitch, conferma quanto già era evidente. Il deficit federale è fuori controllo, ma la notizia peggiore, quella che ha spinto Moody’s a declassare gli Stati Uniti dalla tripla A al rating AA1, è che il budget presentato da Trump non sembra in grado di migliorare la situazione.

Scontro sul bilancio

In altre parole, i tagli alle tasse e l’aumento degli stanziamenti per la difesa, non saranno compensate dai tagli selvaggi al welfare, alla sanità e alla transizione ecologica. Così, nelle prossime settimane, si prevede battaglia a Washington, con una parte del partito repubblicano che spingerà per una ulteriore riduzione della spesa pubblica. Questo clima di incertezza non può che far male al dollaro.

Senza contare che oggi ricominceranno i negoziati sui dazi tra Usa e Unione Europea, a pochi giorni distanza dall’ennesima giravolta trumpiana che ha annunciato il raddoppio dal 25 al 50 per cento della tariffa su acciaio e alluminio. Così, mentre la quotazione del biglietto verde rischia di calare ancora, il clima di sfiducia penalizza anche i titoli di stato americani.

Quelli a scadenza decennale in questi giorni oscillano intorno a un rendimento del 4,5 per cento. All’inizio di aprile superavano di pochissimo quota 4 per cento e a fine settembre dell’anno scorso, nell’ultima fase della presidenza Biden, viaggiavano ancora intorno al 3,6 per cento.

Questo significa che aumenteranno ancora gli interessi da pagare sul debito, che già valgono quasi il 50 per cento del deficit federale. Una pessima notizia per il governo Usa. E un macigno che pesa sul futuro del dollaro.

============


Commenti

Post popolari in questo blog

SACHS ALLA UE

CAPITALISMI GLOBALI

Svolte a destra La Lettura 2-2-25