Vi spiego perché la Russia sta recuperando e gli Stati Uniti stanno perdendo terreno Emmanuel Todd ABS
Pubblicato su Krisis poi su Sinistrainrete
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«Vi spiego perché la Russia sta recuperando e gli Stati Uniti stanno perdendo terreno»
di Emmanuel Todd
In
una conferenza che ha tenuto all’Accademia delle Scienze di Russia, a
Mosca, l’antropologo francese ha illustrato come la Russia stia
consolidando la propria posizione, in base a fattori demografici,
sociali e culturali. Una visione che si distanzia nettamente
dall’opinione dominante in Occidente, offrendo spunti di riflessione
scientifica e geopolitica. Gli Stati Uniti stanno affrontando una crisi
profonda e strutturale. Declino industriale, collasso educativo e
nichilismo culturale ne sono i sintomi più evidenti. Il degrado, secondo
Todd, si manifesta in molteplici ambiti: dall’erosione della base
manifatturiera alla crisi del sistema scolastico, fino allo svuotamento
dei riferimenti religiosi. Nella sua visione, la cosiddetta «rivoluzione
Trump» rappresenta una reazione a questa sconfitta. Pur riconoscendo
nel trumpismo alcune intuizioni valide – come il protezionismo,
l’apertura al dialogo con la Russia e la critica al globalismo – Todd
evidenzia anche aspetti distruttivi. La sua diagnosi finale è
pessimista: senza coesione religiosa, con una struttura familiare
iper-individualista e una classe dirigente indebolita, l’America rischia
di andare a pezzi.
* * * *
Tenere questa conferenza mi intimorisce. Tengo spesso conferenze in Francia, in Italia, in Germania, in Giappone, nel mondo anglo-americano – quindi in Occidente. In quei casi, parlo dall’interno del mio mondo, con una prospettiva certamente critica, ma comunque interna. Qui invece è diverso: sono a Mosca, nella capitale del Paese che ha sfidato l’Occidente e che senza dubbio riuscirà in questa sfida. Sul piano psicologico, è un esercizio completamente diverso.
Autoritratto anti-ideologico
Comincerò presentandomi, non per narcisismo, ma perché spesso le persone che vengono dalla Francia o da altri Paesi e parlano della Russia con comprensione, o persino con simpatia, hanno un certo profilo ideologico. Molto spesso provengono dalla destra conservatrice o dal populismo, e proiettano sulla Russia un’immagine ideologica a priori. A mio avviso, la loro simpatia ideologica è un po’ irrealistica e frutto di fantasia. Io non appartengo affatto a quella categoria.
In Francia sono quello che si definirebbe un liberale di sinistra, fondamentalmente legato alla democrazia liberale. Quello che mi distingue dagli altri fautori della democrazia liberale è che, poiché sono antropologo, poiché conosco la diversità del mondo attraverso l’analisi dei sistemi familiari, ho una grande tolleranza nei confronti delle culture esterne e non parto dal presupposto che tutti debbano imitare l’Occidente. Il pregiudizio da maestrino moralista è particolarmente diffuso a Parigi. Io penso invece che ogni Paese abbia la sua storia, la sua cultura, il suo percorso.
Devo comunque ammettere che in me c’è una dimensione emotiva, una vera simpatia per la Russia, che può spiegare la mia capacità di ascoltare i suoi argomenti nell’attuale scontro geopolitico. La mia apertura non deriva da un’adesione ideologica a ciò che la Russia rappresenta, ma da un sentimento di riconoscenza verso questo Paese per averci liberati dal nazismo […]. I primi libri di storia che ho letto, a 16 anni, raccontavano la guerra dell’Armata Rossa contro il nazismo. Sento di avere un debito che deve essere onorato.
Aggiungo che sono consapevole del fatto che la Russia è uscita dal comunismo da sola, con le proprie forze, e che ha sofferto enormemente durante il periodo di transizione. Ritengo che la guerra difensiva a cui l’Occidente ha costretto la Russia, dopo tutte queste sofferenze, proprio mentre stava rialzandosi, sia una colpa morale dell’Occidente. Ecco la parte ideologica – o meglio, emotiva. Per il resto, non sono un ideologo, non ho un programma per l’umanità. Sono uno storico, un antropologo, mi considero uno scienziato, e ciò che posso offrire per comprendere il mondo – in particolare la geopolitica – viene essenzialmente dalle mie competenze professionali.
Antropologia e politica
Mi sono formato nella ricerca storica e antropologica all’università di Cambridge, in Inghilterra. Il mio relatore di tesi si chiamava Peter Laslett. Aveva scoperto che la famiglia inglese del XVII secolo era semplice, nucleare, individualista. I figli dovevano andarsene presto. Nella commissione della mia tesi di dottorato a Cambridge c’era anche un grande storico inglese tuttora vivente, Alan Macfarlane. Aveva compreso che esisteva una relazione tra l’individualismo politico ed economico degli inglesi (e quindi degli anglosassoni in generale) e quel tipo di famiglia nucleare identificato da Laslett nel passato dell’Inghilterra.
Sono allievo di questi due grandi storici britannici. In fondo, ho generalizzato l’ipotesi di Macfarlane. Mi sono accorto che la mappa del comunismo realizzato, verso la metà degli anni Settanta, somigliava molto a quella di un sistema familiare che chiamo comunitario (che altri hanno chiamato famiglia patriarcale o joint-family), un sistema familiare che è, in un certo senso, l’opposto concettuale del sistema familiare inglese.
Prendiamo la famiglia contadina russa, per esempio. Non sono specialista della Russia, ciò che davvero conosco della Russia sono elenchi nominativi di abitanti del XIX secolo che descrivono famiglie contadine. Non erano, come le famiglie dei contadini inglesi del XVII secolo, piccoli nuclei (padre, madre, figli), ma enormi nuclei familiari con un uomo, sua moglie, i suoi figli, le mogli dei figli e i nipoti. Questo sistema era patrilineare perché le famiglie scambiavano le donne per farne delle spose. Si trova la famiglia comunitaria in Cina, in Vietnam, in Serbia, nell’Italia centrale – un’area che votava comunista. Una delle particolarità della famiglia comunitaria russa è che manteneva uno status elevato delle donne, perché la sua apparizione era recente.
La famiglia comunitaria russa è apparsa tra il XVI e il XVIII secolo. Quella cinese è apparsa prima dell’era cristiana. La famiglia comunitaria russa aveva qualche secolo di vita, la famiglia comunitaria cinese aveva due millenni di vita. Questi esempi rivelano la mia visione del mondo. Non lo percepisco come un’entità astratta, ma come un insieme in cui ogni grande nazione, ogni piccola nazione, aveva una struttura familiare contadina particolare, struttura che spiega ancora molti dei suoi comportamenti attuali […].
Voglio precisare un punto a proposito della mia reputazione. Il 95% della mia carriera di ricercatore è stata dedicata all’analisi delle strutture familiari, tema su cui ho scritto libri di 500 o 700 pagine. Ma non è per questo che sono conosciuto nel mondo. Sono conosciuto per tre saggi di geopolitica nei quali ho utilizzato la mia conoscenza di questo retroterra antropologico per capire ciò che accadeva.
Nel 1976 ho pubblicato La caduta finale. Saggio sulla decomposizione della sfera sovietica, in cui prevedevo il crollo del comunismo. Il calo della fertilità delle donne russe mostrava che i russi erano come tutti gli altri, in via di modernizzazione, e che il comunismo non aveva prodotto alcun «homo sovieticus». Avevo anche riscontrato un aumento della mortalità infantile, tra il 1970 e il 1974, in Russia e Ucraina. Questo aumento mostrava che il sistema aveva iniziato a deteriorarsi. Ho scritto quel libro molto giovane, avevo 25 anni, e ho dovuto aspettare circa 15 anni perché la mia previsione si avverasse.
Nel 2002 ho scritto un secondo libro di geopolitica, intitolato in francese Après l’Empire, quando tutti parlavano della superpotenza americana. Ci spiegavano che l’America avrebbe dominato il mondo per un periodo indefinito, in un mondo unipolare. Io sostenevo, al contrario: no, il mondo è troppo vasto, il peso relativo dell’America sta diminuendo sul piano economico e l’America non potrà controllare questo mondo.
Ciò si è rivelato vero. In Après l’Empire c’è una previsione particolarmente corretta che sorprende me stesso: un capitolo si intitola Il ritorno della Russia. Vi prevedevo il ritorno della Russia come potenza importante, basandomi su pochissimi indizi. Avevo semplicemente osservato un’inversione della mortalità infantile (in calo tra il 1993 e il 1999, dopo l’aumento tra il 1990 e il 1993). Ma sapevo per istinto che il fondo culturale comunitario russo, che aveva prodotto il comunismo nella fase di transizione, sarebbe sopravvissuto agli anni Novanta e avrebbe permesso di ricostruire qualcosa.
C’è tuttavia un grosso errore in quel libro: prevedevo un destino autonomo per l’Europa occidentale. E c’è una mancanza: non parlavo della Cina. Vengo ora al mio ultimo libro di geopolitica, che sarà credo l’ultimo, La sconfitta dell’Occidente […]. Prevede che, nello scontro geopolitico aperto dall’entrata dell’esercito russo in Ucraina, l’Occidente subirà una sconfitta. Mi trovo di nuovo in disaccordo con l’opinione dominante del mio Paese, o del mio campo, dato che sono anch’io occidentale.
Anzitutto dirò perché mi è stato facile scrivere questo libro, ma vorrei poi tentare di dire perché, ora che la sconfitta dell’Occidente appare certa, mi è diventato molto più difficile spiegare nel breve termine il processo di disgregazione dell’Occidente, pur restando capace di fare una previsione a lungo termine sulla prosecuzione del declino americano. Siamo a una svolta: passiamo dalla sconfitta alla disgregazione.
Ciò che mi rende prudente è la mia esperienza del crollo del sistema sovietico. Avevo previsto il crollo, ma devo ammettere che quando il sistema sovietico si è effettivamente dissolto, non sono stato in grado di prevedere l’ampiezza della disgregazione e il livello di sofferenza che avrebbe comportato per la Russia.
Non avevo capito che il comunismo non era solo un’organizzazione economica, ma anche un sistema di credenze, quasi una religione, che strutturava la vita sociale sovietica e russa. La disgregazione di quella fede ha comportato una disorganizzazione psicologica ben oltre quella economica. È una situazione simile a quella che viviamo oggi in Occidente. Non stiamo vivendo solo un fallimento militare ed economico, ma anche una disgregazione delle credenze che hanno organizzato la vita sociale occidentale per decenni.
Dalla sconfitta alla disgregazione
Ricordo perfettamente il contesto in cui ho scritto La sconfitta dell’Occidente. Ero nella mia piccola casa in Bretagna, nell’estate del 2023. I giornalisti francesi e di altri Paesi si eccitavano a vicenda commentando i «successi» (immaginari) della controffensiva ucraina. Mi vedo ancora chiaramente, mentre scrivevo con calma: «La sconfitta dell’Occidente è certa». Non mi poneva alcun problema dirlo. Al contrario, oggi, quando parlo di disgregazione, adotto un atteggiamento di umiltà di fronte agli eventi. Il comportamento di Trump è una messa in scena dell’incertezza. Il bellicismo di quegli europei che hanno perso la guerra al fianco degli Americani e che ora parlano di vincerla senza gli americani è qualcosa di davvero sorprendente.
Questo è il presente. Gli eventi di breve periodo sono molto difficili da prevedere. Al contrario, il medio e lungo termine dell’Occidente, in particolare quello degli Stati Uniti, mi sembrano più accessibili alla comprensione e alla previsione – senza alcuna certezza, ovviamente. Come ho già detto, avevo già avuto molto presto, fin dal 2002, una visione positiva a medio e lungo termine per la Russia. Ma oggi ho una visione molto negativa a medio e lungo termine per gli Stati Uniti. Quello che stiamo vivendo è solo l’inizio di un declino americano e dobbiamo essere pronti a vedere cose ancora molto più drammatiche.
La sconfitta dell’Occidente: una previsione facile
Ricorderò innanzitutto il modello de La sconfitta dell’Occidente. Il libro è stato pubblicato, chiunque può verificarne il contenuto. Spiegherò perché è stato relativamente semplice concepire questa sconfitta. Negli anni precedenti avevo già analizzato a lungo il ritorno della Russia alla stabilità.
Non vivevo nell’illusione occidentale di un regime putiniano mostruoso, di un Putin che sarebbe il diavolo e dei russi che sarebbero idioti o sottomessi, che era la visione dominante in Occidente.
Avevo letto Russie, le retour de la puissance (Russia, il ritorno della potenza), un eccellente libro di un francese troppo poco conosciuto, David Teurtrie, pubblicato poco prima dell’ingresso delle truppe russe in Ucraina. Vi descriveva la ripresa dell’economia russa, della sua agricoltura, delle sue esportazioni di centrali nucleari. Spiegava che la Russia si stava preparando, dal 2014, alla disconnessione dal sistema finanziario occidentale.
Inoltre, avevo i miei indicatori abituali, che sono di stabilità sociale più che di stabilità economica. Continuavo a monitorare il tasso di mortalità infantile, l’indicatore statistico che utilizzo di più. I bambini sotto l’anno di età sono gli esseri più fragili di una società e le loro probabilità di sopravvivenza sono l’indicatore più sensibile di coesione e di efficacia sociale. Negli ultimi 20 anni, il tasso di mortalità infantile in Russia è diminuito a un ritmo accelerato, anche se la mortalità complessiva – in particolare quella maschile – non è soddisfacente. Da diversi anni, il tasso di mortalità infantile russo era sceso al di sotto di quello statunitense.
Il tasso di mortalità infantile statunitense è uno degli indicatori che ci permette di capire che l’America non sta bene. Purtroppo, credo che attualmente anche il tasso di mortalità infantile francese – in aumento – stia per superare quello russo. È un dolore per me, che sono francese, ma devo essere capace, come storico, di vedere e analizzare cose che non mi piacciono. Il divenire della storia non è fatto per compiacermi. È fatto per essere studiato.
Evoluzione economica soddisfacente della Russia, stabilizzazione sociale. C’è stato anche un rapido crollo del tasso di suicidi e del tasso di omicidi tra il 2000 e il 2020. Avevo tutti questi indicatori, e in più conservavo la mia conoscenza del fondo familiare comunitario russo, di origine contadina, che non esiste più in modo visibile ma continua ad agire. Sia chiaro, la famiglia contadina russa del XIX secolo non esiste più. Ma i suoi valori sopravvivono nelle interazioni tra gli individui. In Russia esistono ancora valori regolatori di autorità, di uguaglianza, di comunità, che assicurano una coesione sociale particolare.
È un’ipotesi che può essere difficile da accettare per uomini e donne moderni immersi nella vita urbana. Sono appena arrivato a Mosca, che riscopro nel 2025 trasformata rispetto al mio ultimo viaggio del 1993. Mosca è una città immensa e moderna. Come posso immaginare, in un tale contesto materiale e sociale, la persistenza di valori comunitari provenienti dal XIX secolo? Eppure lo faccio – come lo faccio altrove.
È un’esperienza che ho vissuto, ad esempio, in Giappone. Anche Tokyo è una città immensa, in verità, con i suoi 40 milioni di abitanti, due volte più grande di Mosca. Ma è facile vedere e accettare l’idea che un sistema di valori giapponese, ereditato da una struttura familiare antica, si sia perpetuato. La penso allo stesso modo per la Russia, con la differenza che la famiglia comunitaria russa, autoritaria ed egualitaria, non era la famiglia […] giapponese, autoritaria e inegualitaria.
Economia, demografia, antropologia della famiglia: nel 2022 non avevo il minimo dubbio sulla solidità della Russia. E quindi ho osservato, dall’inizio della guerra in Ucraina, con un misto di divertimento e tristezza, giornalisti, politici e politologi francesi formulare ipotesi sulla fragilità della Russia, sul collasso imminente della sua economia, del suo regime, eccetera.
La sconfitta dell’Occidente
Mi imbarazza un po’ dirlo qui, a Mosca, ma devo ammettere che la Russia per me non è il tema centrale. Non sto dicendo che la Russia non sia interessante, dico solo che non è al centro della mia riflessione. Il fulcro del mio pensiero è indicato nel titolo del mio libro, La sconfitta dell’Occidente. Non studio la vittoria della Russia, ma la disfatta dell’Occidente. Credo che l’Occidente si stia autodistruggendo.
Per formulare e dimostrare questa ipotesi, mi sono servito di diversi indicatori. Qui mi limiterò a parlare degli Stati Uniti. Lavoravo da tempo sull’evoluzione degli Stati Uniti. Sapevo della distruzione della base industriale statunitense, soprattutto dopo l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001. Sapevo delle difficoltà degli Usa nel produrre abbastanza armamenti per sostenere la guerra.
Ero riuscito a stimare il numero di ingegneri – di persone che si dedicano alla fabbricazione di cose concrete – negli Stati Uniti e in Russia. Ero giunto alla conclusione che la Russia, con una popolazione due volte e mezzo inferiore a quella degli Stati Uniti, riusciva a formare più ingegneri di loro. Semplicemente perché tra gli studenti americani solo il 7% studia ingegneria, mentre in Russia la cifra è vicina al 25%. Naturalmente, questo dato sugli ingegneri deve essere considerato un indicatore chiave, che rimanda, più in profondità, ai tecnici, agli operai specializzati, a una capacità industriale generale.
Avevo altri indicatori di lungo termine sugli Stati Uniti. Lavoravo da decenni sul calo del livello educativo, sul declino dell’istruzione superiore americana in qualità e quantità, declino iniziato già nel 1965. Il calo del potenziale intellettuale americano affonda le radici molto indietro nel tempo. Questo calo, però, non dimentichiamolo, arriva dopo un’ascesa dopo un’ascesa durata due secoli e mezzo.
L’America è stata un immenso successo storico prima di sprofondare nell’attuale fallimento. Il successo storico degli Stati Uniti fu l’esempio più eclatante del successo storico del mondo protestante. La religione protestante fu il cuore della cultura americana come lo fu della cultura britannica, delle culture scandinave e della cultura tedesca, dato che la Germania era per due terzi protestante.
Il protestantesimo esigeva che tutti i fedeli avessero accesso alle Sacre scritture. Esigeva che la gente sapesse leggere. Ovunque, il protestantesimo fu quindi molto favorevole all’educazione. Intorno al 1900, la mappa dei Paesi in cui tutti sapevano leggere coincideva con quella del protestantesimo. Negli Stati Uniti, inoltre, già tra le due guerre l’istruzione secondaria ebbe un’impennata, cosa che non avvenne nei Paesi protestanti europei.
Il crollo educativo degli Stati Uniti ha ovviamente a che fare con il loro crollo religioso. Sono consapevole che oggi si parla molto di quegli evangelici esagitati che circondano Trump. Ma tutto questo, per me, non è vera religione. Non è, in ogni caso, vero protestantesimo. Il Dio degli evangelici americani è un tipo simpatico che distribuisce regali finanziari, non è più il Dio calvinista severo che esige un alto livello di moralità, che incoraggia una forte etica del lavoro e che favorisce la disciplina sociale.
La disciplina sociale degli Stati Uniti doveva molto alla disciplina morale protestante. E questo valeva anche nel XX secolo, quando gli Stati Uniti non erano più un Paese protestante omogeneo, con immigrati cattolici ed ebrei, e poi asiatici. Almeno fino agli anni Settanta, il nucleo dirigente dell’America e della cultura americana rimaneva protestante. Allora si prendevano volentieri in giro i Wasp (White Anglo-Saxon Protestants), che certo avevano i loro difetti, ma che rappresentavano una cultura centrale e controllavano il sistema americano.
Stati attivi, zombie e zero della religione
Una mia particolare concettualizzazione mi permette di analizzare il declino religioso, non solo in questo libro, ma in tutti i miei lavori recenti. Si tratta di un’analisi in tre fasi dell’oblio della religione.
- Stadio attivo della religione: le persone sono credenti e praticanti.
- Stadio zombie della religione: le persone non sono più credenti né praticanti, ma conservano valori e comportamenti sociali ereditati dalla precedente fase attiva. Definirei, ad esempio, il repubblicanesimo francese, succeduto alla Chiesa cattolica nel bacino parigino, come una religione civile zombie.
- Stadio zero della religione: le abitudini sociali ereditate dalla religione sono a loro volta scomparse (è la fase che viviamo attualmente in Occidente).
Fornisco un indicatore temporale per datare l’inizio di questa fase, ma che non va interpretato in termini moralistici. Si tratta di uno strumento tecnico che mi permette di datare il fenomeno al 2013, 2014 o 2015.
Uso per datare l’inizio dello stadio zero qualunque legge che istituisca il matrimonio per tutti, cioè il matrimonio tra individui dello stesso sesso. È un indicatore del fatto che non resta più nulla delle abitudini religiose passate. Il matrimonio civile copiava il matrimonio religioso. Il matrimonio per tutti è post-religioso. Lo ripeto, non ho detto che sia male. Non faccio qui un moralista. Dico che questo è ciò che ci permette di considerare che abbiamo raggiunto uno stadio zero della religione.
Risalire dal declino industriale al declino educativo, poi al declino religioso, per diagnosticare infine uno stadio zero della religione, ci permette di affermare che la caduta degli Stati Uniti non è un fenomeno di breve termine, né reversibile. Non lo sarà, ad ogni modo, nei pochi anni di questa guerra in Ucraina.
Una sconfitta americana
Questa guerra che è ancora in corso, anche se l’esercito che rappresenta l’Occidente è quello ucraino, è uno scontro tra Russia e Stati Uniti. Non avrebbe potuto aver luogo senza il materiale americano. Non avrebbe potuto aver luogo senza i servizi di osservazione e di intelligence americani. Ecco perché, del resto, è del tutto normale che i negoziati finali avvengano tra russi e americani.
La sorpresa attuale degli europei, quando si vedono esclusi dalle trattative, è per me strana. La loro sorpresa è per me una sorpresa. Dall’inizio del conflitto, gli europei si sono comportati come sudditi degli Stati Uniti. Hanno partecipato alle sanzioni, hanno fornito armi ed equipaggiamenti ma non hanno diretto la guerra. È per questo che gli europei non hanno una rappresentazione corretta o realistica della guerra.
Siamo a questo punto. L’Occidente è stato sconfitto industrialmente. Economicamente. Prevedere questa sconfitta non è stato per me un grosso problema intellettuale.
Arrivo a ciò che mi interessa di più e che è più difficile per uno studioso di scenari: l’analisi e la comprensione degli eventi in corso. Tengo conferenze abbastanza regolarmente. Ne ho tenute a Parigi, in Germania, in Italia, recentemente anche a Budapest. Ciò che mi colpisce è che a ogni nuova conferenza, pur avendo sempre una base stabile comune a tutte, ci sono eventi nuovi da integrare.
Non si sa mai quale sia l’atteggiamento reale di Trump. Non si sa se la sua volontà di uscire dalla guerra sia sincera. Ci sono sorprese straordinarie, come il suo improvviso risentimento verso i suoi stessi alleati, o meglio i suoi sudditi: vedere il presidente degli Stati Uniti indicare europei e ucraini come responsabili della guerra e della sconfitta è stato del tutto sorprendente. Oggi devo confessare la mia ammirazione per la maestria e la calma del governo russo che deve (apparentemente) prendere Trump sul serio, deve accettare la sua rappresentazione della guerra perché, dopotutto, occorre negoziare.
Noto comunque in Trump un elemento positivo stabile sin dall’inizio: parla con il governo russo, esce dall’atteggiamento occidentale di demonizzazione della Russia. È un ritorno alla realtà e, di per sé, qualcosa di positivo, anche se questi negoziati non approdano a nulla di concreto.
La rivoluzione Trump
Vorrei cercare di capire la causa immediata della Rivoluzione Trump. Ogni rivoluzione ha cause prima di tutto endogene, è prima di tutto il risultato di dinamiche e contraddizioni interne alla società in questione. Tuttavia, una cosa sorprendente nella storia è la frequenza con cui le rivoluzioni sono scatenate da sconfitte militari.
La rivoluzione russa del 1905 è stata preceduta da una sconfitta militare contro il Giappone. La rivoluzione russa del 1917 è stata preceduta da una sconfitta contro la Germania. Anche la rivoluzione tedesca del 1918 è stata preceduta da una sconfitta.
Persino la rivoluzione francese, che sembra più endogena, era stata preceduta nel 1763 dalla sconfitta della Francia nella Guerra dei sette anni, sconfitta importante perché l’Ancien Régime aveva perso tutte le sue colonie. Il crollo del sistema sovietico è stato anche esso scatenato da una doppia sconfitta: nella corsa agli armamenti con gli Stati Uniti e dal ritiro dall’Afghanistan. Credo che si debba partire da questa nozione di una sconfitta che porta a una rivoluzione per capire la rivoluzione Trump.
L’esperienza in corso negli Stati Uniti, anche se non sappiamo ancora come evolverà, è una rivoluzione. È una rivoluzione in senso stretto? È una contro-rivoluzione? È comunque un fenomeno di una violenza straordinaria, una violenza che si rivolge da un lato contro gli alleati-sudditi, gli europei, gli ucraini, ma che si esprime dall’altro lato, internamente, nella società americana, con una lotta contro le università, contro la teoria di genere, contro la cultura scientifica, contro la politica di inclusione dei neri nelle classi medie americane, contro il libero scambio e contro l’immigrazione.
Questa violenza rivoluzionaria è, secondo me, legata alla sconfitta. Diverse persone mi hanno riferito conversazioni tra membri della squadra di Trump e ciò che colpisce è la loro consapevolezza della sconfitta. Gente come J. D. Vance, il vicepresidente, e molti altri… È gente che ha capito che l’America ha perso questa guerra.
Per
gli Stati Uniti è stata una sconfitta fondamentalmente economica. La
politica delle sanzioni ha mostrato che la potenza finanziaria
dell’Occidente non è onnipotente. Gli americani hanno avuto la
rivelazione della fragilità della loro industria militare. Al Pentagono
sanno molto bene che uno dei limiti alla loro azione è la capacità
limitata del complesso militare-industriale americano.
Questa consapevolezza americana della sconfitta contrasta con la non-consapevolezza degli europei.
Gli europei non hanno organizzato la guerra. Perché non hanno organizzato la guerra, non possono avere una piena consapevolezza della sconfitta. Per avere una piena consapevolezza della sconfitta, dovrebbero avere accesso alla riflessione del Pentagono. Ma gli europei non vi hanno accesso. Mentalmente, gli europei si collocano quindi prima della sconfitta, mentre l’amministrazione americana attuale si colloca dopo la sconfitta.
Sconfitta e crisi culturale
La mia esperienza della caduta del comunismo mi ha insegnato, l’ho detto, una cosa importante: il crollo di un sistema è tanto mentale tanto quanto economico. Ciò che crolla nell’Occidente attuale, e prima di tutto negli Stati Uniti, non è solo il dominio economico, è anche il sistema di credenze che lo animava o vi si sovrapponeva. Le convinzioni che accompagnavano il trionfalismo occidentale si stanno disintegrando. Ma, come in ogni processo rivoluzionario, non si sa ancora quale nuova credenza sarà la più importante, quale sarà la credenza che emergerà vittoriosa dal processo di decomposizione.
La ragionevolezza nell’amministrazione Trump
Tengo a precisare che, inizialmente, non avevo un’ostilità di principio verso Trump. Durante la prima elezione di Trump, nel 2016, facevo parte di coloro che ammettevano che l’America era malata, che il suo cuore industriale e operaio era in fase di distruzione, che gli americani comuni soffrivano della politica generale dell’Impero e che c’erano buone ragioni perché molti elettori votassero Trump. Nelle intuizioni di Trump ci sono cose molto ragionevoli.
Il protezionismo di Trump, l’idea che bisogna proteggere l’America per ricostruire la sua industria, deriva da un’intuizione molto ragionevole. Io stesso sono protezionista. Ho scritto libri su questo molto tempo fa. Considero anche che l’idea di un controllo dell’immigrazione sia ragionevole, anche se lo stile adottato dall’amministrazione Trump nella gestione dell’immigrazione è di una violeza insopportabile.
Un altro elemento ragionevole, che sorprende molti occidentali, è l’insistenza dell’amministrazione Trump nel dire che esistono solo due sessi nell’umanità, uomini e donne. Non vedo in questo un avvicinamento alla Russia di Vladimir Putin, ma un ritorno alla concezione ordinaria dell’umanità che esiste dalla comparsa dell’Homo sapiens, un’evidenza biologica sulla quale, tra l’altro, scienza e Chiesa concordano. C’è della ragionevolezza nella rivoluzione Trump.
Il nichilismo nella rivoluzione Trump
Devo
ora dire perché, nonostante la presenza di questi elementi ragionevoli,
sono pessimista e perché penso che l’esperienza Trump fallirà.
Ricorderò perché sono stato ottimista per la Russia fin dal 2002 e
perché sono pessimista per gli Stati Uniti nel 2025.
Nel
comportamento dell’amministrazione Trump c’è un deficit di pensiero,
una impreparazione, una brutalità, un comportamento impulsivo, non
riflessivo, che richiama il concetto centrale della Sconfitta dell’Occidente: il nichilismo.
Spiego nella Sconfitta dell’Occidente che il vuoto religioso, lo stadio zero della religione, conduce più a un’angoscia che a uno stato di libertà e benessere. Lo stadio zero ci riporta al problema fondamentale. Che cosa significa essere un uomo? Qual è il senso delle cose? Una risposta classica a questi interrogativi, in fase di crollo religioso, è il nichilismo. Si passa dall’angoscia del vuoto alla divinizzazione del vuoto, una divinizzazione del vuoto che può portare a una volontà di distruzione delle cose, degli uomini, e infine della realtà stessa.
L’ideologia transgender non è in sé qualcosa di grave dal punto di vista morale, ma è fondamentale dal punto di vista intellettuale: dire che un uomo può diventare donna o una donna uomo rivela una volontà di distruzione della realtà. Era, insieme alla cancel culture e alla preferenza per la guerra, un elemento del nichilismo dominante sotto l’amministrazione Biden. Trump rifiuta tutto ciò.
Eppure, ciò che mi colpisce oggi è l’emergere di un nichilismo che assume altre forme: una volontà di distruzione della scienza e dell’università, delle classi medie nere o una violenza disordinata nell’applicazione della strategia protezionistica americana. Quando, senza riflettere, Trump vuole stabilire dazi doganali tra Canada e Stati Uniti, mentre la regione dei Grandi laghi costituisce un unico sistema industriale, vedo una pulsione distruttiva, non solo protettiva.
Quando vedo Trump stabilire improvvisamente tariffe protezionistiche contro la Cina, dimenticando che la maggior parte degli smartphone americani è fabbricata in Cina, penso che non ci si può accontentare di considerare ciò come semplice stupidità. È stupidità certo, ma forse è anche nichilismo. Passiamo a un livello morale più alto: il sogno trumpiano di trasformare Gaza, svuotata della sua popolazione, in una stazione turistica è tipicamente un progetto nichilista di alta intensità. La contraddizione fondamentale della politica americana, però, la cercherò nel protezionismo.
La teoria del protezionismo ci dice che la protezione può funzionare solo se un Paese possiede una popolazione qualificata che permetta di beneficiare delle protezioni tariffarie. Una politica protezionistica sarà efficace solo in presenza di ingegneri, scienziati, tecnici qualificati. Cosa che gli americani non hanno in numero sufficiente. Eppure, vediamo gli Stati Uniti cominciare a cacciare i loro studenti cinesi, e tanti altri, proprio quelli che permettono loro di compensare il deficit in ingegneri e scienziati. È assurdo.
La teoria del protezionismo ci dice anche che la protezione può avviare o rilanciare l’industria solo se lo Stato interviene per partecipare alla costruzione delle nuove industrie. Eppure vediamo l’amministrazione Trump attaccare lo Stato, quello Stato che dovrebbe nutrire la ricerca scientifica e il progresso tecnologico. Peggio: se si cerca la motivazione della lotta contro lo Stato federale condotta da Elon Musk e altri, si scopre che non è nemmeno economica.
Chi conosce la storia americana ha presente il ruolo capitale dello Stato federale nell’emancipazione dei neri. L’odio contro lo Stato federale negli Stati Uniti deriva più spesso da un risentimento anti-nero. Quando si lotta contro lo Stato federale americano, si lotta contro le amministrazioni centrali che hanno emancipato e che proteggono i neri. Una proporzione elevata delle classi medie nere ha trovato impieghi nell’amministrazione federale. La lotta contro lo Stato federale non si inserisce quindi in una concezione generale della ricostruzione economica e nazionale.
Se penso agli atti molteplici e contraddittori dell’amministrazione Trump, la parola che mi viene in mente è disgregazione. Una disgregazione che non si sa molto bene dove condurrà.
Famiglia nucleare assoluta + religione zero = atomizzazione
Sono molto pessimista per gli Stati Uniti. Tornerò, per concludere questa conferenza esplorativa, ai miei concetti fondamentali di storico e antropologo. Ho detto all’inizio di questa conferenza che la ragione fondamentale per cui avevo creduto, abbastanza presto, fin dal 2002, a un ritorno della Russia alla stabilità è perché ero consapevole dell’esistenza di un fondo antropologico comunitario in Russia.
Al contrario di molti, non ho bisogno di ipotesi sullo stato della religione in Russia per capire il ritorno della Russia alla stabilità. Vedo una cultura familiare, comunitaria, con i suoi valori di autorità e di uguaglianza, che permette tra l’altro di capire un po’ cos’è la nazione nello spirito dei russi. C’è infatti un rapporto tra la forma della famiglia e l’idea che si ha della nazione. Alla famiglia comunitaria corrisponde un’idea forte, compatta, della nazione o del popolo. Questa è la Russia.
Negli Stati Uniti, come in Inghilterra, è il caso opposto. Il modello della famiglia inglese e americana è nucleare, individualista, senza neanche una regola precisa di eredità. La libertà testamentaria regna. La famiglia nucleare assoluta anglo-americana struttura poco la nazione. La famiglia nucleare assoluta ha certo un vantaggio di flessibilità. Le generazioni si succedono separandosi. La rapidità di adattamento degli Stati Uniti o dell’Inghilterra, la plasticità delle loro strutture sociali (che hanno permesso la rivoluzione industriale inglese e il decollo americano) derivano in gran parte da questa struttura familiare nucleare assoluta.
Ma accanto, o sopra, questa struttura familiare individualista c’era in Inghilterra come negli Stati Uniti la disciplina della religione protestante, con il suo potenziale di coesione sociale. La religione, in quanto fattore strutturante, è stata cruciale per il mondo anglo-americano. Ma è scomparsa. Lo stadio zero della religione, combinato con valori familiari molto poco strutturanti, non mi sembra una combinazione antropologica e storica che possa portare alla stabilità. È verso un’atomizzazione sempre più grande che si dirige il mondo anglo-americano. Questa atomizzazione non può che portare a un’accentuazione, senza limite visibile, della decadenza americana. Spero di sbagliarmi, spero di aver dimenticato un fattore positivo importante.
Purtroppo, al momento trovo solo un fattore negativo in più, emerso leggendo un libro di Amy Chua, accademica a Yale che è stata mentore di J.D. Vance. Political Tribes. Group Instinct and the Fate of Nations (2018) sottolinea, dopo molti altri testi, il carattere unico della nazione americana: una nazione civica, fondata sull’adesione di tutti gli immigrati successivi a valori politici che trascendono l’etnicità. Certo. Questa era molto presto la teoria ufficiale. Ma negli Stati Uniti c’era anche un gruppo protestante bianco dominante, nato da una storia abbastanza lunga e, al fondo, del tutto etnica.
Dopo la dissoluzione del gruppo protestante, questa nazione americana è diventata davvero post-etnica, una nazione puramente «civica», in teoria unita dall’attaccamento alla sua Costituzione, ai suoi valori. Il timore di Amy Chua è quello di una regressione dell’America a ciò che lei chiama tribalismo. Una dissoluzione regressiva.
Ognuna delle nazioni europee è in fondo, qualunque sia la sua struttura familiare, la sua tradizione religiosa, la sua visione di sé, una nazione etnica, nel senso di un popolo legato a una terra, con la sua lingua, la sua cultura, un popolo ancorato nella storia. Ognuna ha un fondo stabile. I russi ce l’hanno, i tedeschi ce l’hanno, i francesi ce l’hanno, anche se al momento sono un po’ strani in relazione a questi concetti. L’America non ce l’ha più. Una nazione civica? Al di là dell’idea, la realtà di una nazione americana civica, ma privata di morale dallo stadio zero della religione fa riflettere. Fa venire i brividi lungo la schiena.
Il mio timore personale è che non siamo affatto alla fine, ma solo all’inizio di un crollo degli Stati Uniti che ci rivelerà cose che non possiamo nemmeno immaginare. È qui che risiede la vera minaccia: più ancora che in un impero americano – trionfante, indebolito o distrutto – sta nell’andare verso cose che non possiamo nemmeno immaginare.
Sono oggi a Mosca e quindi concluderò parlando della situazione futura della Russia. Dirò due cose, una piacevole, l’altra preoccupante. La Russia probabilmente vincerà questa guerra. Ma avrà, nel contesto della decomposizione americana, responsabilità molto gravi in un mondo che dovrà ritrovare un equilibrio.
Articolo originale pubblicato su https://emmanueltodd.substack.com/p/bons-baisers-de-russie (traduzione dal francese a cura di Krisis).
Emmanuel Todd. Nato nel 1951, è uno storico, sociologo e antropologo francese di fama internazionale, noto per aver previsto per primo, con anni di anticipo, il collasso dell’Unione Sovietica e la crisi finanziaria del 2008. Tra i suoi libri pubblicati in Italia: L’illusione economica (Marco Tropea Editore, 2004), Dopo l’impero (Marco Tropea Editore, 2003), L’incontro delle civiltà (con Youssef Courbage, Marco Tropea Editore, 2009) e Breve storia dell’umanità (leg Edizioni, 2019). La sconfitta dell’Occidente, in corso di traduzione in diversi paesi, è il suo ultimo libro.
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Commento Alfred
Non capisco perche' i russi abbiano bisogno di sentirsi dire da Todd
quello che sono benissimo in grado di leggere da soli. Basta che vadano a
consultare un po' di statistiche anche di parte.
Sono
cose alla portata persino di un non sociologo come me, basta un po' di
inglese o un traduttore e la pazienza di cercare e fare le domande
giuste anche solo su intenet. Sarebbe piu sano per i russi e per
chiunque (anche gli statunitensi) farsi un'idea di se a partire dalla
capacita' di cercare e leggere i dati. Ho l'impressione che russi e
cinesi ci riescano benissimo. Gli statunitensi meno, leggere i dati che
li riguardano spaventa anche loro e siccome poco tempo fa si credevano
er mejo oggi, sono spaventati da un declino palpabile e non trovano di
meglio che sfoderare le armi. Come nei peggiori western e non
esattamente in una citta' fantasma, ma in giro per il mondo. Conto i
giorni prima che qualcuno affondi la Nimiz. Con mezzi considerati
rudimentali e inaspettati, probabilmente. Credo siano gia' nate persone
in grado di farlo. Se succede sara' come perdere gli attributi
(simbolici, sia mai) anche perche' per costruirne una nuova (ammesso sia
utile) dovranno andare in qualche cantiere navale cinese.
Se mi e' permesso un parallelismo, gli Usa sembrano un vecchio e
sgargiante galeone spagnolo al cospetto delle agili navi della nascente
flotta inglese. Pronti a scommettere che e' solo questione di una cura
dimagrante per il galeone e si va di pirateria come prima. Peccato che
le cose non siano esattamente cosi. L'occidente invecchia male con tutte
le rughe e, purtroppo, con la crescita % della mortalita' infantile,
per il momento in Usa, ma dato quello che spenderemo per armare i
sopravissuti vedremo presto i casi in aumento anche in europa.
Beati
i popoli che conserveranno un sistema sanitario decente e la cura delle
persone, sono gli unici che hanno un futuro. Noi al massimo
continueremo a essere zombie, todd compreso.
Ps. Esagero e lo so (anche su todd), ma ogni giorno che passa la realta' mi sembra sia piu esagerata di me.
Commento Franco Trondoli
Poi, un errore fondamentale che si riverbera sull'analisi complessiva, sulla quale non posso elaborare brevemente un commento, è il fatto di sostenere che in URSS ci sia stata la caduta del
"comunismo". l'URSS era una forma specifica di Capitalismo di Stato che , in quella fase storica, ha perduto la competizione contro il Capitalismo Usa.
Tanti osservatori vedono in questo
un'inizio del collasso del capitalismo come sistema mondo, ma oggettivamente , a mio parere, bisognerà considerare e soprattutto vedere come si evolverà la Storia della Cina.
In un certo senso, per chi sarà fortunato
di esserne testimone.
Cordiali Saluti
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Deepseek
SCHEDA DELL'ARTICOLO
Titolo: «Vi spiego perché la Russia sta recuperando e gli Stati Uniti stanno perdendo terreno»
Autore: Emmanuel Todd
Fonte: Substack di Emmanuel Todd (traduzione italiana a cura di Krisis)
CONTESTO
L'articolo riporta una conferenza tenuta da Emmanuel Todd all’Accademia delle Scienze di Russia a Mosca, in cui l’antropologo francese analizza il declino strutturale degli Stati Uniti e il consolidamento della Russia, basandosi su fattori demografici, sociali, culturali e antropologici. La tesi si distanzia nettamente dalla narrativa occidentale dominante.
PUNTI CHIAVE
1. Il declino degli Stati Uniti
Crisi multidimensionale:
Industriale: Deindustrializzazione e perdita di capacità produttiva (es. carenza di ingegneri rispetto alla Russia).
Educativa: Crollo del sistema scolastico e universitario dagli anni ’60, legato al declino del protestantesimo (che promuoveva alfabetizzazione e disciplina).
Culturale e religiosa: Passaggio allo "stadio zero della religione" (perdita di valori morali strutturanti), con conseguente nichilismo e disgregazione sociale.
Politica: La "rivoluzione Trump" è una reazione al declino, ma è contraddittoria (protezionismo senza base industriale, odio per lo Stato federale, pulsioni distruttive).
Indicatori chiave:
Aumento della mortalità infantile (peggiore rispetto alla Russia).
Perdita di coesione sociale, aggravata dalla struttura familiare iper-individualista (nucleare assoluta) e dalla scomparsa del cemento religioso.
2. La resilienza della Russia
Fattori di successo:
Base antropologica comunitaria: eredità della famiglia contadina patriarcale (autoritaria ma egualitaria), che favorisce coesione sociale.
Ripresa economica e demografica: calo della mortalità infantile, aumento delle esportazioni (es. energia, tecnologia nucleare).
Preparazione alle sanzioni: disconnessione dal sistema finanziario occidentale dal 2014.
Confronto con l’URSS:
Todd aveva previsto il crollo sovietico negli anni ’70 (grazie a indicatori come mortalità infantile). Oggi la Russia, pur uscita dal comunismo con sofferenze, ha ritrovato stabilità.
3. La guerra in Ucraina e la sconfitta occidentale
Errori occidentali:
Sottovalutazione della resilienza russa.
Illusioni sulla controffensiva ucraina (2023) e incapacità di produrre armi sufficienti.
Dipendenza europea dagli USA, con esclusione dalle trattative post-sconfitta.
Rivoluzione Trump:
Reazione alla sconfitta, ma con elementi nichilisti (es. attacchi alla scienza, tribalismo anti-nero).
Paradox: il protezionismo trumpiano è inefficace senza una base industriale e tecnologica solida.
4. Prospettive future
USA: Avviati verso un’atomizzazione sociale irreversibile, con rischi di crollo peggiori di quanto immaginabile.
Russia: Vince la guerra, ma dovrà gestire responsabilità globali in un mondo senza egemonia USA.
Europa: In ritardo nella consapevolezza della sconfitta, priva di autonomia strategica.
METODOLOGIA DI TODD
Approccio antropologico: Analisi delle strutture familiari come chiave per comprendere le società:
Russia: Famiglia comunitaria → coesione e autorità.
USA/UK: Famiglia nucleare individualista + crollo religioso → disgregazione.
Indicatori predittivi:
Mortalità infantile (fragilità sociale).
Tassi di suicidi/omicidi (coesione).
Livelli educativi e religiosi.
CONCLUSIONI
Todd delinea un ribaltamento geopolitico epocale:
Declino USA non è temporaneo, ma strutturale (crisi culturale, educativa, industriale).
Russia emerge come potenza stabile, grazie a fattori storici e antropologici.
Europa marginalizzata, senza autonomia.
Rischio maggiore: Il vuoto lasciato dagli USA potrebbe portare a un mondo imprevedibile e instabile.
CITAZIONI RILEVANTI
«La sconfitta dell’Occidente è certa» (Todd, 2023).
«L’America è una nazione civica senza più morale, e questo fa venire i brividi».
«La Russia vincerà, ma in un mondo che dovrà ritrovare un equilibrio senza l’egemonia USA».
Autore: Emmanuel Todd è noto per previsioni accurate (crollo URSS, crisi 2008). Questo articolo riassume le tesi del suo ultimo libro La sconfitta dell’Occidente.
Strumenti utili: Approfondire con La sconfitta dell’Occidente (in traduzione) e Dopo l’impero (2003).
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