Sulla soppressione del lavoro «di Marx» in Negri

 

Sulla soppressione del lavoro «di Marx» in Negri

di Antiper

https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/30110-antiper-sulla-soppressione-del-lavoro-di-marx-in-negri.html

In una conferenza del 2017 [1] Antonio Negri esordisce dicendo che i comunisti sono

“…quelle donne e quegli uomini che aprono le forme della vita alla liberazione dal lavoro”

La liberazione “dal” lavoro è qui chiaramente enfatizzata in opposizione all’eventuale idea di una liberazione “del” lavoro.

Non è una tesi nuova. Già nel 1979 Negri scriveva

“Non si dà in Marx alcun concetto di lavoro che non sia quello di lavoro salariato, di lavoro socialmente necessario alla riproduzione del capitale, quindi nessun concetto di lavoro da restaurare, da liberare, da sublimare, ma solo un concetto ed una realtà del lavoro da sopprimere” (Negri [2] [1979], p.22)

Secondo questa fantasiosa interpretazione, per Marx il lavoro non dev’essere liberato dal capitale, ma soltanto soppresso. Il socialismo sarebbe dunque una società senza lavoro.

Ma è vero quello che scrive Negri? Ovviamente no. Lavoro e lavoro salariato sono sinonimi solo per Negri, non certo per Marx. E comunque si tratta di una delle solite sparate negriane fatte di parole tanto a effetto, quanto inconsistenti.

Nel modo di produzione capitalistico la ricchezza delle nazioni, dice Marx, si presenta come un’immane raccolta di merci [3] e le merci, lo sappiamo (lo sappiamo?), sono il frutto del lavoro [4] umano. Una mela che nasce spontaneamente su un albero è solo una mela; questa mela diventa merce solo se colta, portata al mercato e scambiata con denaro o con un altra merce. Cogliere la mela, trasportare la mela, scambiare la mela… sono tutte attività umane, lavoro.

Non solo. Per Marx il valore delle merci deriva dalla quantità di lavoro umano astratto necessario per la loro produzione. La forma capitalistica dei rapporti di produzione fa sì che questa produzione di merci da parte dei lavoratori sia “alienata” (cfr. Marx [2004] [5] per i vari sensi in cui Marx parla di alienazione o estraneazione). Superata la “limitata forma borghese” dei rapporti di produzione la ricchezza cessa di essere appropriata da singoli individui e diventa collettiva

“una volta cancellata la limitata forma borghese, che cosa è la ricchezza se non l’universalità dei bisogni, delle capacità, dei godimenti, delle forze produttive, ecc. degli individui, creata nello scambio universale? Che cosa è se non il pieno sviluppo del dominio dell’uomo sulle forme della natura, sia su quelle della cosiddetta natura, sia su quelle della propria natura? Che cosa è se non l’estrinsecazione assoluta delle sue doti creative, senza altro presupposto che il precedente sviluppo storico, che rende fine a se stessa questa totalità dello sviluppo, cioè dello sviluppo di tutte le forze umane come tali, non misurate su di un metro già dato? Nella quale l’uomo non si riproduce in una dimensione determinata, ma produce la propria totalità? Dove non cerca di rimanere qualcosa di divenuto, ma è nel movimento assoluto del divenire?” [6]

Da coercizione imposta dal bisogno il lavoro si trasforma in libera attività produttiva umana, praxis.

Libera, aggiungiamo noi, per quanto liberi si possa essere da quel vincolo che è costituito, anche nel socialismo, dalle necessità della riproduzione delle condizioni della vita sociale; se nel socialismo si mangerà, qualcuno dovrà pure produrre cibo; se nel socialismo ci si curerà, qualcuno dovrà pure essere medico. È bene ribadirlo per non concedere neppure un grammo di credibilità a certe fantasiose teorie secondo cui ognuno di noi avrebbe diritto a disinteressarsi completamente delle attività legate alla riproduzione sociale per occuparsi solo ed esclusivamente dei propri piaceri individuali

“Il contributo alla libertà (argomento della libertà o libertario) deriva dal suo carattere incondizionato e dalla possibilità che esso offrirebbe di impostare i propri piani di vita con maggiore tranquillità e flessibilità e quindi di realizzare una real freedom for all: negare a coloro che preferiscono non lavorare il sostegno di cui hanno bisogno li ‘costringerebbe’ a seguire un diverso stile di vita, rispetto a quello che altrimenti avrebbero scelto. Per giustificare tale approccio è stato introdotto il «paradosso del surfista»: anche i cittadini che trascorrono tutto il loro tempo a fare surf sulle spiagge di Malibù hanno titolo a forniture di Welfare in forme di rmg” [7]

Stiamo parlando di “basic income” (reddito minimo garantito, RMG), tema molto caro anche ad intellettuali abbastanza vicini a Negri (come Andrea Fumagalli o Maurizio Lazzarato).

L’idea è quella che pian piano le macchine sostituiranno completamente il lavoro umano. E quando le macchine lavoreranno al nostro posto, noi potremo intascare la ricchezza da esse prodotta e surfare a piacimento sulle spiagge di Malibù con in tasca un bel reddito di cittadinanza incondizionato.

La fine del lavoro è un mantra (non solo negrista) che ha avuto un discreto successo negli anni passati in ambienti intellettuali dove in effetti non si sgobba in modo poi così forsennato.

Di letture sconclusionate dei Grundrisse come premonizione della fine del lavoro e con essa della teoria marxiana del valore ne circolano da molti anni (la lettura del cosiddetto “frammento sulle macchine” dei Grundrisse data da quell’antipatico di Paolo Virno ne costituisce un esempio da manuale).

È certamente suggestivo fantasticare su quanto le macchine possano fare per l’uomo in generale se sottratte al controllo di quegli uomini particolari che sono i capitalisti. Ma, appunto, bisogna tenere ben distinti i tempi: nel modo di produzione capitalistico le macchine aumentano il grado di alienazione e il dominio del capitale; nel modo di produzione socialista le macchine (per meglio dire le tecniche e le tecnologie) dovranno essere ri-calibrate (e in larga misura addirittura ri-progettate) per andare nel senso degli interessi umani. Per fare un esempio, è lecito dubitare che gli attuali social media possano sopravvivere in un mondo in cui, auspicabilmente, le persone non vivono attraverso le loro estensioni cellulari.

Ma anche le tecnologie, specialmente se molto sofisticate, hanno bisogno di grandi quantità di lavoro umano: ingegneri, operai, tecnici elettronici, informatici, energetici, elettrici, idraulici, edili, meccatronici… non saranno più vincolati al loro “mestiere” in aeternum ma, insomma, una tecnologia complessa o un intervento a cuore aperto non si fanno a ritaglio di tempo tra una surfata e l’altra ed hanno bisogno di una discreta dose di qualificazione (cfr. Riformetti [2017] [8]).

Negri ha torto. Anche solo nel Marx dei Grundrisse esiste un’ampia riflessione a proposito del lavoro al di fuori del modo di produzione capitalistico e persino, come spesso accade in Marx, una visione in controluce delle possibilità offerte da una liberazione che è del lavoro in generale e dal lavoro salariato in particolare.


Note
[1] Antonio Negri, Chi sono i comunisti?, SOAS, London, 26 April 2017, YouTube.
[2] Antonio Negri, Marx oltre Marx. Quaderno di lavoro sui Grundrisse, Milano, Feltrinelli, 1979.
[3] Karl Marx, Il capitale, libro primo, Roma, Editori Riuniti, 1980.
[4] Sappiamo che i negristi hanno avuto spesso l’ardire di postulare una teoria del valore basata sulla domanda consumistica piuttosto che sull’appropriazione di pluslavoro, sperando così di essere remunerati in quanto consumatori piuttosto che in quanto lavoratori (ma con scarso successo).
[5] Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici, Torino, Einaudi, 2004.
[6] Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica. 1857-1858, 2 voll., presentazione, traduzione e note di Enzo Grillo, Firenze, La Nuova Italia, 1970.
[7] Thomas Casadei, I diritti sociali: un percorso filosofico-giuridico, Firenze, Firenze University Press, 2012.
[8] Marco Riformetti, Sulla questione della divisione del lavoro, in Marco Riformetti, Lenin e la filosofia politica di Stato e rivoluzione, Pisa, 2017, Link
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DEEPSEEK SINTESI SCHEMATICA

### Sintesi schematica dell'articolo "Sulla soppressione del lavoro «di Marx» in Negri" di Antiper

#### **Tema centrale**:
- **Critica alla tesi di Antonio Negri**: Antiper contesta l'interpretazione di Negri secondo cui Marx avrebbe sostenuto la soppressione del lavoro, anziché la sua liberazione dal capitale. L'articolo difende l'idea che il lavoro, nel socialismo, non scompare, ma si trasforma in attività libera e creativa.

#### **Punti chiave**:

1. **La tesi di Negri**:
   - Negri sostiene che Marx non vedeva il lavoro come qualcosa da liberare, ma da sopprimere, identificando il lavoro esclusivamente con il lavoro salariato.
   - Secondo Negri, il socialismo sarebbe una società senza lavoro, dove il lavoro è completamente eliminato.

2. **Critica alla tesi di Negri**:
   - Antiper afferma che Negri confonde il lavoro salariato con il lavoro in generale. Per Marx, il lavoro è un'attività umana fondamentale, non solo una forma di sfruttamento capitalistico.
   - Nel capitalismo, il lavoro è alienato, ma nel socialismo diventa libera attività produttiva (praxis), non scompare.

3. **Il lavoro in Marx**:
   - Marx distingue tra lavoro alienato (nel capitalismo) e lavoro libero (nel socialismo).
   - Nel socialismo, il lavoro non è più una coercizione imposta dal bisogno, ma un'attività creativa e libera, finalizzata alla riproduzione sociale e allo sviluppo umano.

4. **Critica alle teorie del "basic income" e della fine del lavoro**:
   - Antiper critica le teorie che prevedono la fine del lavoro grazie all'automazione e la distribuzione di un reddito universale (basic income).
   - Sottolinea che anche in una società socialista, il lavoro rimane necessario per la produzione di beni e servizi essenziali (es. cibo, cure mediche).
   - Le macchine e le tecnologie, pur utili, non eliminano il bisogno di lavoro umano, specialmente in settori complessi come l'ingegneria, la medicina o l'informatica.

5. **Il lavoro nei Grundrisse di Marx**:
   - Antiper cita i *Grundrisse* per dimostrare che Marx non ha mai sostenuto la soppressione del lavoro, ma la sua trasformazione in un'attività libera e creativa.
   - Marx immagina una società in cui il lavoro non è più vincolato alla mera sopravvivenza, ma diventa espressione delle capacità creative umane.

6. **Conclusione**:
   - La tesi di Negri è errata: Marx non propone la soppressione del lavoro, ma la sua liberazione dalla forma capitalistica.
   - Il socialismo non è una società senza lavoro, ma una società in cui il lavoro è libero, creativo e finalizzato al benessere collettivo.

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### **Sintesi finale**:
Antiper contesta l'interpretazione di Negri, sostenendo che Marx non ha mai proposto la soppressione del lavoro, ma la sua liberazione dalla forma alienata del lavoro salariato. Nel socialismo, il lavoro rimane un'attività essenziale, ma diventa libera, creativa e finalizzata allo sviluppo umano. Le teorie sulla fine del lavoro e sul reddito universale sono considerate fantasiose e distanti dalla visione marxiana.

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